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San Pietro da Verona

Tra i santi più raffigurati per le circostanze del suo martirio, Pietro da Verona (c. 1205-1252) nacque da genitori vicini al catarismo, cioè l’eresia che egli combatterà lungo tutta la sua vita, operando numerose conversioni

Santo del giorno 06_04_2019

Tra i santi più raffigurati per le circostanze del suo martirio, Pietro da Verona (c. 1205-1252) nacque da genitori vicini al catarismo, cioè l’eresia che egli combatterà lungo tutta la sua vita, operando numerose conversioni. Si convertì alla fede cattolica da bambino, imparando a recitare il Credo a sette anni, e in seguito studiò all’Università di Bologna. In questa città, ancora quindicenne, incontrò Domenico di Guzmán e secondo il Martirologio «ricevette l’abito dallo stesso san Domenico», fondatore dell’Ordine dei Predicatori e tornato alla casa del Padre il 6 agosto 1221.

Pietro si distinse nella predicazione in diverse città dell’Italia centro-settentrionale, da Roma a Milano, dove operò su mandato dei pontefici per debellare l’eresia catara che vi si era diffusa a macchia d’olio. Nel 1244 venne inviato a Firenze e anche qui riuscì a riportare alla vera fede molte anime che erano cadute nell’errore. Le sue brillanti prediche nella città toscana suscitarono l’ammirazione dei sette santi fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria: divenne il loro padre spirituale e dopo ardenti preghiere ottenne dalla Beata Vergine la conferma che quel nuovo ordine era nato per precisa ispirazione celeste.

I successi di Pietro nelle conversioni e il suo zelo nel difendere l’ortodossia gli procurarono negli anni molti nemici tra gli eretici e, allo stesso tempo, diversi estimatori tra i cristiani, che potevano constatare la sua austerità di vita e la grande familiarità con le Sacre Scritture. Nel 1251, Innocenzo IV lo nominò inquisitore per la Lombardia, ma qui le sette catare di diverse città cospirarono contro di lui. L’idea di morire a causa della fede non lo spaventava affatto e, anzi, un giorno confidò a un confratello che ogni volta che sollevava il calice con il Sangue di Cristo chiedeva la grazia del martirio. Il 6 aprile 1252, mentre si recava a piedi da Como a Milano, fu raggiunto da un sicario dei catari che gli spaccò il cranio con un colpo di falcastro e ferì mortalmente un suo confratello, di nome Domenico, che si spense dopo alcuni giorni di agonia.

Prima dell’ultimo respiro terreno, Pietro intinse un dito nel suo sangue e scrisse a terra: Credo in unum Deum. Il sicario gli conficcò infine un pugnale nel petto. Il corpo del martire fu subito trasportato a Milano (dal 1340 è custodito nella splendida Arca di San Pietro Martire, realizzata da Giovanni di Balduccio e posta all’interno della Basilica di Sant’Eustorgio) e il suo culto si espanse rapidamente, anche grazie ai miracoli attribuiti alla sua intercessione e alla sua velocissima canonizzazione, avvenuta appena 11 mesi dopo la morte. Il suo omicida si chiamava Carino Pietro da Balsamo, che si pentì e poco tempo dopo entrò come converso nel convento domenicano di Forlì, dove passò in preghiera e penitenza gli ultimi quarant’anni della sua vita, sotto la guida spirituale del beato Giacomo Salomoni. La conversione di Carino fu tale che morì in fama di santità e dal 1822 è venerato come beato: il che è certamente tra le più grandi grazie scaturite dal martirio di san Pietro da Verona.