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ORA DI DOTTRINA / 99 – Il supplemento

San Pier Damiani e la denuncia dell’omosessualità nel clero

Grande riformatore ed eremita, Pier Damiani denunciò piaghe come la simonia e l’omosessualità nel clero. Ma il suo Liber Gomorrhianus risultò scomodo anche ai papi che erano d’accordo con lui, probabilmente perché sentivano la pressione dei chierici sodomiti.

Catechismo 14_01_2024

Un grande santo riformatore, ingiustamente poco conosciuto. Nato a Ravenna nel 1007, morto molto presto il padre e abbandonato dalla madre (anch’essa morirà poco dopo) per l’estrema povertà della famiglia, venne prima allevato da un fratello, che lo trattò molto duramente; quindi fu cresciuto da un altro fratello, l’arciprete Damiano, e avviato allo studio delle arti del trivio e del quadrivio. Divenuto professore, fu profondamente colpito da un episodio, nel quale lesse un monito divino: rifiutata ad un povero un’elemosina, secondo alcuni, o del pane bianco, secondo altri, rischiò di morire soffocato per una lisca conficcatasi nella gola. Decise così di abbracciare la vita solitaria, entrando nell’eremo di Fonte Avellana, monastero camaldolese non molto grande, che fu però fucina di santi (76, secondo la tradizione camaldolese) e di futuri vescovi, importantissimi per la riforma della Chiesa.

Pier Damiani fu eletto priore nel 1043 e divenne protagonista di numerose nuove fondazioni, propagando con zelo la vita eremitica quale culmine della vita monastica cenobitica. Ma basta dare un’occhiata alle sue lettere, raccolte in otto volumi nell’Opera omnia, per capire come questo eremita fosse particolarmente attento alle piaghe di cui la Chiesa del suo tempo soffriva, soprattutto la simonia e l’omosessualità nel clero, cercando di denunciare il male, consigliare i pastori, papi inclusi, perché mettessero mano ad una coraggiosa riforma. Per questa ragione, papa Stefano IX (1020-1058) nel 1057 lo nominerà vescovo di Ostia e cardinale; carica che pare abbia accettato solo sotto pena di scomunica e che sopportò per soli dieci anni, ottenendo poi di ritornare alla vita eremitica.

Ma facciamo un passo indietro. Con il pontificato di Leone IX (1002-1054), san Pier Damiani iniziava la sua influenza significativa sulla riforma della Chiesa. Due sono gli scritti di denuncia dei peccati del clero, diffusi e gravissimi, con la proposta di una linea più decisa e rigorosa da parte del papa: il Liber Gratissimus del 1052, sulla simonia, e il Liber Gomorrhianus, composto nel 1049, sull’omosessualità negli ecclesiastici. Entrambi gli scritti furono accolti da Leone IX, ma qualcosa nel rapporto tra i due finì presto per incrinarsi. Più tardi, nel 1059, scrisse anche un piccolo libro, il De cælibatu sacerdotum, appunto per esortare papa Nicola II (980 ca - 1061) ad agire contro i prelati che avevano concubine e che violavano la castità propria del loro stato.

Quanto alla prima pubblicazione, Pier Damiani proponeva una linea ferma contro la simonia, ma nello stesso tempo spiegava che le ordinazioni conferite a o da prelati simoniaci erano comunque valide. Sul fronte opposto, il cardinale Umberto da Silva Candida (†1061), nell’Adversus simoniacos, sosteneva invece la necessità di riordinare quanti avevano ricevuto l’ordinazione da vescovi simoniaci. Leone IX appariva fortemente indeciso al riguardo, e fu solo con Nicola II, durante il Sinodo romano del 1060, che si prese la posizione definitiva della non riordinazione.

Ma ancora più curiosa appare la gestione di Leone IX riguardo al problema dell’omosessualità. Il Liber Gomorrhianus rappresentava il più forte e chiaro tentativo di colpire al cuore questa piaga presente nel clero, che Pier Damiani chiamava «quadruplice vizio», in riferimento alle quattro modalità concrete con cui la pratica omosessuale si concretizzava, a partire dal peccare con sé stessi, che egli considerava come un primo grado del peccato contro natura, fino all’atto propriamente sodomita. La posizione di Pier Damiani, che pure non intendeva arrogarsi dell’autorità di comminare sanzioni ecclesiastiche, fu molto ferma e decisa non solo per la gravità del peccato contro natura, ma anche e soprattutto per il fatto che veniva commesso da chierici. Dichiarava infatti «contrario alla ragione e alle sanzioni dei Padri» che «quelli che si macchiano abitualmente con questa malattia purulenta osino entrare nell’ordine e rimanere nel loro grado».

San Pier Damiani sosteneva dunque che quanti erano abitualmente implicati in qualcuna di queste quadruplici colpe, foss’anche quella non più grave, dovevano essere dimessi dallo stato clericale. Leone IX, nella lettera Ad splendidum nitentis (1054), rispondeva personalmente all’eremita, condividendo la ferma condanna della «sfrenata licenza della fangosa lussuria» e riconoscendo che quanti si sono macchiati di queste colpe sono sempre stati «rimossi da tutti i gradi della chiesa immacolata», a norma dei sacri canoni. Ma, non senza contrariare Pier Damiani, il Papa decise di operare «con maggiore benevolenza», permettendo che fossero reintegrati nel proprio grado dell’ordine sacro quanti, purificati da una «degna penitenza» e dopo aver messo «un freno alla libidine», erano sì rei, «ma con una pratica non lunga né con molte persone» e purché non avessero «peccato nelle terga».

Una decisione sicuramente di condanna, ma che lasciava ampi margini di interpretazione, rischiando di fiaccare la lotta contro l’omosessualità attiva nel clero: cosa significava una «pratica non lunga»? E cosa si intendeva con «molte persone»? Che tra i due ci sia stato un certo distanziamento, sembra attestarlo una lettera (cf. PL 144, 208B-209C) scritta tra il 1050 e il 1054; Pier Damiani rimprovera il Papa di aver creduto ad alcune menzogne contro di lui, senza aver voluto verificare i fatti. Chi e per quale ragione abbia diffuso delle falsità a danno dell’eremita non è dato saperlo; e nemmeno sappiamo il contenuto di queste menzogne. Sta di fatto che il pontificato di Leone IX scivolò via, senza troppo ferire quegli ecclesiastici che praticavano l’omosessualità.

Ma il Liber Gomorrhianus doveva andare incontro ad una sventura ancora più singolare. Quando, nel 1061, Anselmo da Baggio venne eletto Papa, scegliendo il nome di Alessandro II (+1073), sembrava suonata l’ora per le perversioni nel clero. Anselmo da Baggio era stato, insieme a Pier Damiani, protagonista della riforma della Chiesa di Milano; tra loro c’era comunione di intenti ed amicizia. Inoltre papa Alessandro doveva all’amico una strenua difesa della legittimità della sua elezione contro l’antipapa Onorio II. Anche le sue prese di posizione da pontefice indicavano una volontà di lottare strenuamente contro simonia e nicolaismo. Eppure, in una lettera (cf. PL 144, 270A-272C) indirizzata a due cardinali (tra i quali Ildebrando di Soana, futuro Gregorio VII), Pier Damiani lamentava che il Papa si era fatto prestare la copia, probabilmente l’unica, di un libro a lui caro (che molti identificano proprio con il Liber Gomorrhianus), e non gliela aveva più restituita. In sostanza, un sequestro. Non è difficile pensare che il libro in questione doveva essere molto scomodo e dare fastidio a più d’uno degli ecclesiastici che operavano nella Curia romana.

San Pier Damiani non ebbe dunque vita facile proprio sul versante della denuncia dell’omosessualità nel clero. I pontefici erano di certo contrari a questa piaga, ma sembravano approcciarsi alla riforma con il freno a mano. Una certa vaghezza di Leone IX prima, e una probabile volontà di non urtare gli avversari di Pier Damiani da parte di Alessandro II poi, lasciano comprendere che evidentemente il problema era non solo diffuso, ma anche penetrato fin negli uomini più vicini ai papi. I quali evidentemente ne avvertivano la pressione. Il caso di Leone IX è poi particolarmente significativo: dietro a quel suo modo di agire “più umano”, non si può forse vedere il problema molto pratico che, a dimettere dallo stato clericale tutti quelli che si erano macchiati del «quadruplice vizio», ci sarebbero stati non pochi problemi a trovare sufficienti sostituti?



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