San Giuseppe Lavoratore, modello di obbedienza a Dio
San Giuseppe Lavoratore, di Georges de la Tour (del 1642), si distingue per la magistrale rappresentazione delle luci, simile alla tecnica di Caravaggio, e per la resa della quotidianità umana delle figure. Il San Giuseppe che lavora nella sua bottega, iniziando Gesù al mestiere, è presentato come modello di accettazione della volontà divina.
Non è egli forse il figlio del carpentiere? Mt 13, 55
“San Giuseppe lavoratore, che, falegname di Nazareth, provvide con il suo lavoro alle necessità di Maria e Gesù e iniziò il Figlio di Dio al lavoro tra gli uomini. Perciò, nel giorno in cui in molte parti della terra si celebra la festa del lavoro, i lavoratori cristiani lo venerano come esempio e patrono.” Così si legge nel martirologio romano in occasione del 1°maggio, giornata cui papa Pio XII nel 1955 volle dare un più profondo significato per evidenziare la dignità del lavoro quale prosecuzione dell’opera del Creatore. Una festa recente, dunque, come moderna è la sua iconografia: le prime immagini del padre putativo di Gesù ritratto nella sua bottega, infatti, risalgono solo al XV secolo.
La versione di Georges de la Tour è ancora più tarda. Il dipinto venne commissionato nel 1642, molto probabilmente da Elizabeth de Danois Sèrnet, vedova del governatore del vescovato di Metz, per il convento dei domenicani scalzi presso cui la nobildonna aveva fatto aprire una casa di accoglienza per ragazze di strade, coinvolgendo gli artisti più in vista dell’epoca affinché la carità potesse specchiarsi nella bellezza. Le confische napoleoniche e altre traversie fecero arrivare l’opera a Londra da cui, infine, rientrò per essere custodita al Louvre di Parigi dove si trova tuttora.
Georges de la Tour è senz’altro da annoverare tra i grandi pittori francesi, un artista che riscosse in vita un enorme successo pari all’oblio che lo avvolse una volta scomparso. E’ stato riscoperto solo all’inizio del secolo scorso dallo scrittore francese Malraux che lo definì un “Caravaggio trasparente” per la sua straordinaria abilità nel dipingere la luce. E del maestro lombardo, in effetti, fu un fedele seguace - per quanto non esistano sicure testimonianze di una conoscenza diretta dell’opera del Merisi - e per nulla servile, ebbe a dire Roberto Longhi che ne riconobbe la capacità di dare vita e verità ai soggetti religiosi. Ciò che immediatamente colpisce, infatti, della sua pittura, soprattutto devozionale, è la resa della quotidiana umanità delle sue figure.
San Giuseppe falegname è uno dei suoi notturni a lume di candela, genere che divenne la sua peculiare cifra stilistica. La bottega è un ambiente immerso nell’oscurità da cui la luce della fiammella fa emergere l’artigiano Giuseppe mentre col succhiello, strumento tipico del suo mestiere, perfora una trave di legno. L’allusione alla croce è immediata e confermata dai fori che Giuseppe sta facendo che rimandano a quelli dei chiodi nelle mani e nei piedi del Cristo. Giuseppe è un uomo anziano, chino sul suo lavoro, ma perfettamente consapevole del destino del Figlio, come dimostra la fronte corrugata e la sua ritrosia nell’incrociare lo sguardo di Gesù che al suo fianco lo assiste.
Il Salvatore è un fanciullo, concentrato sui gesti del padre, il profilo illuminato dalla fiamma affusolata della candela che tiene tra le mani. E’ Lui la vera fonte di luce, che si riflette, infatti, sul volto del santo carpentiere, e il suo sguardo sereno e innocente da bambino, in questo silenzio sospeso, sembra volere rassicurare Giuseppe cui, con la sola Sua presenza, pare dire :“Non temere”.
La fortuna di questo tema corrispose alla diffusione della devozione nei confronti di San Giuseppe, esempio e modello di accettazione della volontà di Dio. La Tour ce lo ha magistralmente presentato, immortalandolo in questo suo capolavoro dove tutto sembra obbedire a un ordine superiore, divino, tradotto in un contesto semplicemente umano.