Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Damasceno a cura di Ermes Dovico
IL LIBRO DI DON ROSINI

San Giuseppe, alla ricerca del padre perduto

Se Gesù ha un padre celeste, che ruolo ha il suo padre putativo/terreno? In che modo, Giuseppe affronta la straordinaria missione che Dio gli pone davanti? A queste e altre domande risponde don Fabio Rosini nel libro San Giuseppe. Accogliere, custodire e nutrire, un testo prezioso per riscoprire la vera paternità.

Cultura 23_06_2021

San Giuseppe. Accogliere, custodire e nutrire (San Paolo, 2021) è uno di quei libri che potremmo definire provvidenziali. Non solo perché esce nel pieno dell’Anno giuseppino, indetto da papa Francesco alla fine del 2020, ma anche e soprattutto per l’assoluta competenza dell’autore in materia. In trent’anni di sacerdozio, don Fabio Rosini ha dedicato un’attenzione centrale alla crisi e alla riscoperta della paternità. Impossibile, dunque, non affrontare il tema senza passare per san Giuseppe. Rosini lo fa da rinomato biblista, inquadrando con precisione certosina il contesto storico della Sacra Famiglia e, fedele al proprio metodo, calca moltissimo la mano sul contesto umano di ogni singolo protagonista della Scrittura.

“Che bisogno c’è di San Giuseppe?”, si domanda l’autore nella premessa. Se Gesù ha un padre celeste, che ruolo ha il suo padre putativo/terreno? In che modo, Giuseppe affronta la straordinaria missione che Dio gli pone davanti? Come vince i dubbi, di fronte alla maternità verginale di Maria? Cosa vuol dire essere “custode” per lui? Perché nei Vangeli, Giuseppe non parla e, a un certo momento, nella massima discrezione, esce di scena? Rosini risponde in modo articolato, sorprendente ma anche molto credibile a tutti questi interrogativi.

Gesù ha bisogno di Giuseppe come padre putativo - e anche Maria ha bisogno di lui come sposo - perché è impossibile arrivare a ciò che è straordinario senza passare per l’ordinario. Gesù deve vivere in una vera famiglia, prima di poter dare vita alla grande famiglia universale che è la Chiesa. Giuseppe rappresenta quindi la quotidianità di Gesù, l’apprendimento di un mestiere terreno, quelle sane abitudini, quel metodo e quel rigore che non sono fini a sé stessi ma preparano il terreno all’incontro con il Divino. Lo vediamo in modo evidentissimo nell’episodio dello smarrimento di Gesù e nel suo ritrovamento nel Tempio di Gerusalemme (cfr. Lc 2,41-50). Non sono certo Giuseppe, né Maria a incoraggiare, né ad autorizzare il figlio dodicenne a “uscire dalla carovana” ma è proprio in questo primo slancio di autonomia che prende forma la corrispondenza tra il Figlio e il Padre celeste. I nostri genitori, i sacerdoti possono trasmetterci tutta l’educazione cristiana possibile ma il passo finale spetta a noi. “Nessuno ti può dare l’OK a essere te stesso oltre te stesso”, scrive Rosini. “Solo Dio può entrare in quella cosa lì che dev’essere totalmente tua”. Eppure, la paternità terrena che ognuno di noi riceve è propedeutica al ‘salto’ verso la paternità divina.

Più delle precedenti opere dello stesso autore, il libro su san Giuseppe assorbe e riproduce la lunga esperienza di Rosini con le catechesi - Dieci Parole e Sette Segni in primis - rivolte ai giovani della diocesi di Roma, dal 1993 a oggi. In qualità di parroco e, in seguito di responsabile diocesano dell’Ufficio Vocazioni, il biblista romano ha toccato con mano i guasti, ormai annosi, della società ‘senza’ padri. I ragazzi che don Rosini ha educato hanno sempre avuto “bisogno del limite, di quel prezioso ‘no’ detto da qualcuno che si prende cura di te, che ti aiuta a conoscere il confine tra vita e morte, necessario per restare al di qua del margine e campare bene”. Rosini si è visto affidata quella generazione che, nell’evanescenza dei padri, è stata cresciuta da “madri ipertrofiche” e spesso soverchianti.

Non si tratta certo di restaurare il paternalismo autoritario d’una volta, né di insistere su una “formazione” che, spesso, tende a modellare i giovani secondo idealtipi astratti che non li rispecchiano. È in gioco, piuttosto, la loro “educazione”, nel senso etimologico dell’e-ducere, del condurre verso una meta che è quella della piena realizzazione di sé stessi. È il padre che dà il nome ai propri figli ed è sempre il padre che è chiamato a renderli consapevoli di quanto sono meravigliosi come esseri umani. Un padre deve aiutare i figli a stimarsi di più, affinché non si crogiolino in una vita mediocre. “Compito della madre è insegnare ai figli a stimare il padre - sintetizza Rosini verso la fine del libro - e far conoscere loro il cuore del padre; compito del padre è mostrare il suo amore per la madre, fare gesti affettuosi con i figli verso la madre”. La famiglia rinasce così e ha in san Giuseppe un archetipo indelebile.