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A Roma

San Giovanni de Matha, in un mosaico la missione dei Trinitari

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Sull’entrata della chiesa romana di San Tommaso in Formis campeggia il mosaico che raffigura l’esperienza mistica avuta da san Giovanni de Matha e all’origine della fondazione dell’Ordine della Santissima Trinità e degli schiavi.

Ecclesia 17_12_2024

I simboli, soprattutto nella Chiesa, rappresentano storie: ci narrano di donne e uomini, di vicende, di episodi che recano un messaggio. È il caso del mosaico cosmatesco della chiesa romana di San Tommaso in Formis, “signum” dell’Ordine della Santissima Trinità e degli schiavi, fondato nel 1193 da san Giovanni de Matha (Faucon-de-Barcelonnette, 23 giugno 1154 - Roma, 17 dicembre 1213) di cui oggi ricorre la memoria liturgica. In quei tasselli di colori vive tutto il carisma dei Trinitari. In poche figure, il racconto di una visione che interessò lo stesso santo fondatore.

Il mosaico, infatti, raffigura l’esperienza mistica – avvenuta all’alba della fondazione dell’Ordine – che san Giovanni de Matha ebbe. Era il 28 gennaio 1193: il santo stava celebrando la sua prima Messa. Ad un certo punto, ecco, chiara una luce (quella che poi sarà la sua missione): Cristo Pantocratore campeggia al centro, alla sua destra e alla sua sinistra vi sono due schiavi, uno di carnagione bianca, l’altro nera. Su tale sogno, abbiamo due importanti documenti storici che testimoniano l’accaduto: il primo, attribuito ad un anonimo del XIII secolo; l’altro è il Liber de adventu fratrum minorum in Angliam del francescano Tommaso da Eccleston, ultimato entro la fine degli anni Cinquanta del XIII secolo. I due documenti narrano il sogno che san Giovanni de Matha ebbe in quella sua prima Messa, celebrata davanti al vescovo di Parigi e al clero francese. Il primo documento ci dice che Cristo era apparso al santo «tenentem in manibus suis duos viros habentes cathenas in tibiis, quorum unus niger et deformis apparuit, alter macer et pallidus». Il messaggio era più che evidente: Cristo che libera i «captivi», gli schiavi. Una visione, pochi personaggi, e vi è tutta la missione di redenzione che è propria dell’Ordine della Santissima Trinità.

Il mosaico in questione fu realizzato intorno al 1210: quindi, circa 17 anni dopo la visione di san Giovanni de Matha. L’opera d’arte, realizzata dall’importante famiglia romana dei Cosmati (famosi artisti del marmo dell’epoca), è posta sopra l’antica entrata del complesso della chiesa di San Tommaso in Formis, sorta nel X secolo e donata nel 1207 da papa Innocenzo III ai Trinitari. Era, questa, l’entrata di un antico ospedale. La chiesa, dedicata a san Tommaso apostolo, deve il suo appellativo “in Formis” al nome in latino dell’antistante acquedotto Claudio, essendo stata costruita sulle antiche cisterne. Appena insediato a Roma il primo nucleo dell’Ordine, san Giovanni de Matha volle adattare parte del monastero ad ospedale per assistervi i poveri, gli infermi, i pellegrini e gli schiavi riscattati. Fu proprio in questo complesso – che comprendeva appunto la chiesa, il monastero e l’ospedale – che il santo fondatore morì il 17 dicembre 1213 e le sue spoglie furono tumulate nella chiesa al lato destro dell’altare in un mausoleo marmoreo addossato alla parete. Poi, il corpo fu traslato in Spagna nel 1655.

Analizziamo, ora, il mosaico così prezioso per comprendere meglio la storia dell’Ordine e il suo carisma. Il personaggio principale è Cristo che campeggia imponente al centro dell’opera. Il suo capo è adornato con un nimbo circolare crocifero. Irradia luce, simbolo di potenza e sovranità. Il volto è ovale. È circondato da una folta barba, segno di virilità. I capelli, scuri e lunghi. Indossa un mantello, la tunica, la veste e la stola. Regale nelle sue fattezze, è seduto in trono. A destra della sua figura, troviamo un giovane senza vesti, di carnagione bianca. «Il bianco sta a rappresentare più facilmente, per esigenze iconografiche, un “christianus”, un membro della “Christianitas”» (Guido Cipollone, O.SS.T., Il mosaico di San Tommaso in formis a Roma, Ordinis Trinitatis Institutum Historicum, 1997). Questo personaggio che figura nel mosaico ha alle caviglie delle catene, ma i ferri di queste sono spezzati. Questi ferri congiungono lui e il Cristo: è lo stato di prigionia da risolvere. La mano sinistra del giovane reca un’asta sopra cui è posta una croce: è la croce trinitaria dai colori rosso e blu. La mano destra, invece, è afferrata da Cristo: si lascia prendere senza opporre resistenza.

Veniamo ora alla figura di destra, dalla carnagione scura. In questo caso, i ferri che lo imprigionano sono chiusi, serrati: ancora non è stato liberato. L’uomo è fuori dalla fede, non conosce Cristo. Nella mano destra ha uno scudiscio, un frustino che non è in movimento, ma “a riposo”. Tutta questa scena è avvolta da una frase, scritta in lettere cubitali: «Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum». È questo il carisma che anima ancora oggi i Padri Trinitari, impegnati in diverse parti del mondo per difendere la libertà di religione. E lo fanno anche e soprattutto attraverso il Sit (Solidarietà Internazionale Trinitaria), un organo nato in seno all’Ordine per impegnarsi in maniera ancora più capillare proprio in quei Paesi in cui la libertà di religione è messa in pericolo. Ma non solo.

L’Ordine fondato da san Giovanni de Matha ha anche diversi fronti sui quali, fin dal 1193, è chiamato a “combattere” la buona battaglia. Lo sottolineava, a un gruppo di Trinitari, san Paolo VI durante l’udienza generale del 9 gennaio 1974: «Bisogna liberare gli schiavi, bisogna liberare i poveri, bisogna liberare gli oppressi, bisogna liberare quelli che sono in regime colonialista, bisogna dar la coscienza all’uomo della sua pienezza, della sua libertà, e così via. Voi perché siete sorti? Siete sorti per la liberazione delle persone, delle classi, degli ambienti che non godevano libertà. E allora è segno che la vostra formula è non solo ancora superstite da tutte le maree, da tutte le tempeste della storia passata, ma si afferma, si attesta con modernità, con attualità che è degna veramente di ogni approvazione e di meraviglia per quel che voi rappresentate di storia e di passato, e di speranza e di meraviglia per ciò che voi rappresentate di attuale e di futuro».