Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’ANNIVERSARIO

San Francesco Borgia, la musica per il culto di Dio

Quattrocentocinquanta anni fa moriva a Roma il pronipote di Alessandro VI, san Francesco Borgia. Entrato nella Compagnia di Gesù, promosse le prime missioni nell’America Latina, tanto da essere definito «il Saverio dell’Occidente». Una sua speciale passione? La polifonia.

Cultura 30_09_2022

Quattrocentocinquanta anni fa, il 30 settembre 1572, moriva a Roma un «grande fra santi, perché fu santo fra grandi» (G. Lubrani, Il solstizio della gloria divina, Napoli 1692, p. 226): san Francesco Borgia.

Il quarto duca di Gandía era nato in questa cittadina della Spagna orientale il 28 ottobre 1510, discendente della celebre famiglia Borgia, che ha prodotto in poco più di un secolo due papi, Callisto III (†1458) e suo nipote Alessandro VI (†1503), e il nostro santo, pronipote di quest’ultimo. Sposatosi nel 1529 con la portoghese Eleonora de Castro, ebbe otto figli. Viceré di Catalogna per l’imperatore Carlo V tra il 1539 e il 1543, rimase vedovo nel 1546. Alimentato da una ricca vita spirituale, prima di cedere tutto al primogenito nel 1551, nel 1548 entrò nella nascente Compagnia di Gesù. Rifiuterà più volte il cardinalato, ma dei Gesuiti sarà nel 1554 commissario per la Spagna e il Portogallo e nel 1565 terzo preposito generale. Nella Città Eterna fondò il Collegio Romano, il noviziato di Sant'Andrea al Quirinale, la chiesa dell'Annunziata (al posto della quale sorgerà la chiesa di Sant'Ignazio di Loyola) e quella del Santissimo Nome di Gesù. Promosse le prime missioni dell'America Latina spagnola, tanto da essere esaltato come «il Saverio dell’Occidente»: «Or vivendo al medesimo tempo questi due gran Franceschi, mentre il Saverio adempiendo le parti del suo apostolato, andava di paese in paese piantando la fede nell’Oriente, il Borgia più la radicava in questo nostro Occidente» (D. Bartoli, Della vita di S. Francesco Borgia, Roma 1681, p. 211). Fu beatificato da Urbano VIII il 23 novembre 1624 e canonizzato da Clemente X il 12 aprile 1671.

Una speciale passione di Francesco era la musica. Anzi, «la polifonia, nella quale si adoperò tanto che non solo cantava con singolare abilità tra scelti musicisti, ma compose molte opere, come un eccellente maestro di cappella. Tutto ciò che componeva era per il culto divino, e per i servizi ecclesiastici; mai acconsentì di offuscare il suo ingegno e il talento che Dio gli diede con opere vane e poesie profane; tutte queste musiche, nemmeno permetteva che fossero cantate in sua presenza: aveva già il gusto riposto in Dio e così tutto il suo studio s’indirizzava al divino» (J. E. Nieremberg, Vida del santo padre, y gran siervo de Dios el B. Francisco de Borja, tercero general de la compañía de Iesus, y antes duque quarto de Gandía [...], Madrid 1644, pp. 23-24, nostra traduzione).

Non sappiamo quando abbia iniziato a comporre, ma «quello che componeva primeggiava a tal punto che molte chiese di Spagna si servivano della Missa, del Magnificat e di altre opere devote che chiamavano del Duca di Gandía» (Nieremberg, ibidem). Il Magnificat è andato perduto, ma una copia della Missa, a quattro voci, è custodita nella Reale Scuola Seminario del Corpus Christi a Valencia, Spagna orientale, curata da Ludwig Bonvin (†1939), gesuita e musicista svizzero-americano.

Un grande studioso di S. Francesco Borgia, il gesuita Pierre Suau (†1916), ricorda che «una messa a quattro voci e otto mottetti anonimi, della medesima mano», quasi certamente opera di Francesco Borgia, fossero stati rinvenuti negli archivi della Collegiata di Gandía dal benedettino Joan Baptista Guzmán i Martínez (†1909), maestro di cappella dal 1899 alla morte nell’abbazia benedettina di Santa Maria di Montserrat vicino Barcellona in Spagna (P. Suau, Histoire de S. François de Borgia, Parigi 1910, p. 34).

Anche come preposito generale della Compagnia di Gesù, il nostro santo trovò il tempo per mettere in musica la più vasta preghiera del Salterio: «nella convalescenza che ebbe a Roma, compose ed eccellentemente annotò il Salmo 118, Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini [Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore]» (Nieremberg, ibidem, p. 24). Opera sua è un dramma liturgico, una forma di teatro religioso fiorita nel Medioevo, che inscena la visita delle pie donne al sepolcro vuoto, avente come personaggi due angeli, Maria di Magdala, Maria, madre di Giacomo, Maria Sàlome, Giovanni evangelista e un coro processionale: la Visitatio Sepulchri de Gandía. Il santo duca di Gandía la istituì nel 1550, prima di partire per Roma, lasciando alla locale Collegiata una cospicua somma per rappresentarla ogni anno a Pasqua. Sospesa nel 1862, è ripresa nel 1998 grazie alla ricostruzione fatta dal musicologo Josep Maria Vives, e si svolge ogni anno nel pomeriggio del Sabato Santo. Alla fine della processione, Quem quæritis in sepulchro, christicolæ? chiedono gli angeli: «Chi cercate nel sepolcro, cristiani?». Iesum Nazarenum, o cœlicolæ, risponde il coro: «Gesù Nazareno, o celesti». Non est hic: surrexit, annunciano gli angeli: «Non è qui. È risorto». Venite et videte, cantano gli angeli: «Venite e vedete». Quis revolvet nobis lapidem? le pie donne dicono tra loro, prima di entrare nel sepolcro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Surrexit Christus, gli angeli poi cantano: «Cristo è risorto», cui segue un Alleluia a 7 voci. Tutto si conclude con la sequenza gregoriana di Pasqua, Victimæ paschali (Alla vittima pasquale, s’innalzi oggi il sacrificio di lode), intervallata dalla polifonia della strofa: Dic nobis, Maria (Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?).

Di fronte a san Francesco Borgia e a quegli ottimi Gesuiti che da quasi cinque secoli hanno fatto della «maggior gloria di Dio» il loro motto e il loro ideale, tornano alla mente le parole che Pio XII nel 1954 rivolse al suo confessore gesuita mentre gli mostrava gli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola: «Qui dentro troviamo la Compagnia di Gesù come Noi l’amiamo. Lo spirito di disciplina della Compagnia si è affievolito, non è più come ai tempi in cui studiavamo all’Università Gregoriana. Con la disciplina ha salvato la fede, la fede, la fede. Lei ne conosce la storia. Così deve rimanere la Compagnia di Gesù, non altrimenti, non altrimenti. Noi siamo molto preoccupati dei gesuiti di oggi. Sentire cum ecclesia, stimare la scolastica e la sana dottrina, conservare il depositum fidei. Noi ci sentiamo responsabili, e ce ne rivolgiamo un rimprovero, di non esser intervenuti in modo più energico» (in A. Spinosa, Pio XII. Lultimo Papa, Mondadori, Milano 1992, p. 385).