San Bernardino Realino
Prima di decidersi per la vita religiosa e divenire, in modo del tutto singolare, patrono di Lecce, san Bernardino Realino (1530-1616) aveva avuto un’onesta e brillante carriera da amministratore, crescendo tra molteplici interessi e a volte rischiando il baratro, da cui si salvò grazie alla fede
Prima di decidersi per la vita religiosa e divenire, in modo del tutto singolare, patrono di Lecce, san Bernardino Realino (1530-1616) aveva avuto un’onesta e brillante carriera da amministratore, crescendo tra molteplici interessi e a volte rischiando il baratro, da cui si salvò grazie alla fede.
Nativo di Carpi, venne educato alle virtù cristiane dalla madre e si formò maturando una passione per la poesia e la filologia. Avviatosi allo studio della medicina, lo lasciò per dedicarsi alla giurisprudenza dopo essersi innamorato della bellezza pura di una giovane di nome Cloride, conosciuta in chiesa. Ottenuta la laurea in diritto civile e canonico, Bernardino passò da un comune all’altro dell’Italia settentrionale, operando come podestà, pretore, avvocato fiscale. Era garbato e generoso, ma le cose terrene talvolta lo facevano sbandare. Per un’ingiustizia subita dalla famiglia, non riuscì a trattenere l’ira e ferì in testa il responsabile con un colpo di spadino.
Intorno ai trent’anni un altro fatto lo sconvolse. Venne raggiunto dalla notizia della morte dell’amata Cloride, che si aggiungeva alla pena per la situazione dei suoi amministrati, affranti da una grave carestia. Nello sconforto, fu tentato per un momento dall’idea di suicidarsi, che superò con l’aiuto della preghiera. Il 3 luglio 1561, mentre meditava sulle vanità del mondo e le grazie divine, la donna che aveva amato onestamente nel suo cuore gli apparve e gli indicò il cielo. Poco dopo il viceré di Sicilia lo chiamò a Napoli e fu qui che avvenne la svolta. Toccato nel profondo dal sermone di un gesuita, volle confessarsi con lui. Il sacerdote notò la sua inclinazione alla vita religiosa, lo invitò a un ritiro spirituale di otto giorni, gli suggerì delle letture devozionali e alla fine il trentaquattrenne Bernardino si decise a entrare nella Compagnia di Gesù, fresca di fondazione.
Venne ordinato sacerdote tre anni più tardi e i suoi progressi spirituali dovettero convincere san Francesco Borgia a sceglierlo come maestro dei novizi. Della sua paternità si accorsero tanto i giovani allievi quanto i carcerati, gli infermi e molti altri fedeli, che assisteva spiritualmente dedicando molto tempo alle confessioni e al catechismo. Nel 1574 venne mandato a Lecce per verificare la possibilità di fondarvi una casa e un collegio gesuita. Entrò presto nel cuore dei leccesi, che beneficiarono della presenza del santo per 46 anni, fino alla sua morte. In quel lungo periodo capitò in più occasioni che i suoi superiori gli comandassero di spostarsi in altre città, ma ogni volta che Bernardino era pronto a partire succedeva qualcosa di singolare che lo tratteneva a Lecce. Qui fondò pure la Chiesa del Gesù, dove riposa il suo corpo, e diede inizio a un movimento di preti diocesani con l’intento di migliorare la conoscenza della teologia morale e formare buoni confessori e predicatori.
Sul letto di morte, dopo aver offerto per anni le sue sofferenze fisiche a Dio, venne visitato da una delegazione del municipio che gli chiese straordinariamente di essere il protettore della città non appena giunto in Paradiso. Bernardino fece un cenno d’approvazione con la testa e morì sussurrando: «Gesù… Maria». È spesso raffigurato con Gesù Bambino perché in una sera rigidissima, vigilia di Natale, mentre pativa il freddo gli apparve la Madonna, che gli diede tra le braccia il divin Figlio. Tra i suoi più grandi estimatori c’era san Roberto Bellarmino: «Non ho mai sentito una lagnanza su padre Realino sebbene io fossi stato il suo provinciale; anche coloro che erano mal disposti verso la Compagnia e coglievano ogni occasione per parlarne male, facevano sempre un’eccezione per Realino… Tutti sanno che è santo». Dopo la beatificazione a opera di Leone XIII, venne canonizzato nel 1947 da Pio XII, che lo confermò patrono di Lecce e ne esaltò l’ardore per Dio e le anime.