Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
BALLOTTAGGI/MILANO

Sala e Parisi, quasi gemelli. Ma con una differenza...

I candidati a sindaco nei ballottaggi di domenica fanno a gara nel non sembrare affatto politici, ma tutt’altro: dirigenti industriali, imprenditori, signore-bene, alti funzionari. Di tutto insomma, ma politici no. In realtà sono politici eccome. Come Sala e Parisi a Milano. 
- "Difendiamo i nostri figli" sta con Parisi

Politica 16_06_2016
Stefano Parisi, candidato sindaco del centrodestra a Milano

Una novità positiva della campagna elettorale per le elezioni comunali di ballottaggio di questa domenica è che finalmente i candidati sindaci sono stati spinti a dire che cosa vogliono fare se verranno eletti. E non a discutere di tutt’altro, da quel che capita nei loro partiti a quel che capita o non capita nel governo. Tale fatto nuovo è comunque un lampo di luce nella notte.  

Non solo nelle grandi città, di cui le catene televisive nazionali hanno costretto tutti a occuparsi, ma anche nelle più piccole un’altra novità positiva è costituita dal fatto che, analizzando le coalizioni di liste nel loro complesso, ci si avvede che in genere i ballottaggi di domenica avranno un rispettabile peso politico nel senso proprio del termine. Tale è oggi il discredito della politica come professione che i candidati fanno a gara nel non sembrare affatto politici, ma tutt’altro: dirigenti industriali, imprenditori, signore-bene, alti funzionari, belle ragazze, signori di mezza età però molto sportivi. Di tutto insomma, ma politici no. In realtà sono politici eccome, e la loro stessa capacità di accreditarsi come presunti non-politici lo conferma. 

Tutto questo è molto positivo. Molta negativa invece è la totale irrilevanza nell’insieme della presenza di cristiani espliciti, consapevoli e motivati. In un Paese come il nostro tale irrilevanza non è naturale: significa che una parte consistente della società civile italiana resta fuori del livello istituzionale. Che ci siano forze che tendono a metterci fuori è non solo evidente, ma anche ovvio.  Proprio per questo dobbiamo però domandarci che cosa si sta facendo (o non facendo) tra i cristiani in Italia per ricostruire tale presenza; per far rinascere un ceto politico l’eclissi del quale non fa bene a nessuno, nemmeno alla Chiesa e alle varie realtà ecclesiali talvolta perciò tentate di assumere un ruolo politico in quanto tali; tentate insomma da un clericalismo nuovo, ma tanto nefasto quanto quello vecchio.

É in questo quadro che si pone, per chi domenica dovrà andare a votare, il problema della scelta tra i candidati in campo. In nessun caso siamo, mi pare, di fronte a scelte facili. In nessun caso si tratta di scegliere tra la luce e le tenebre. Pur entro i limiti della situazione va tuttavia tenuto per fermo un grande principio di fondo: quello della difesa e dell’affermazione prioritaria della libertà della persona e delle comunità. Ancora una volta la libertas Ecclesiae e la libertà in generale vanno di pari passo. Perciò domenica si tratterà ogni volta di scegliere per il più liberale, ovvero per il meno statalista dei due candidati e dunque delle rispettive coalizioni.  

Non risiedo in un Comune dove si voterà, ma in quanto lombardo ho una prossimità e un interesse specifici per la città di Milano dove si confrontano Giuseppe Sala, sostenuto da una coalizione di centro-sinistra, e Stefano Parisi, sostenuto da una coalizione di centrodestra. A titolo di esempio faccio quella che per me è un’esercitazione, provando a immaginarmi per chi mi risolverei a votare se votassi a Milano.  Si è parlato molto della somiglianza tra i due candidati, entrambi ex-segretari generali del Comune di Milano. 

Giuseppe (Beppe) Sala, 58 anni, è un dirigente industriale formatosi alla Pneumatici Pirelli e passato poi nel 2003 a Telecom. Nel 2009 il nuovo sindaco di Milano Letizia Moratti, eletto da una maggioranza di centrodestra, lo nomina segretario generale del Comune e poi nel 2010 lo indica con successo alla carica di amministratore delegato della società incaricata di realizzare l’Esposizione Universale di Milano 2015. Da quel momento si sposta verso il centrosinistra e dai successivi governi Monti e Letta viene nominato commissario governativo unico per l’Expo, che in tale veste finisce di costruire e gestisce.

Stefano Parisi, 59 anni, alto funzionario ministeriale, approda a Milano nel 1997 quando il sindaco Gabriele Albertini, eletto egli pure da una maggioranza di centro-destra, lo vuole come suo  segretario generale (City manager). Dal 1992 fino a quel momento aveva lavorato a Roma a palazzo Chigi come capo dei consiglieri economici di cinque diversi successivi presidenti del Consiglio: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi. Tra il 2000 e il 2004 è stato quindi direttore generale della Confindustria, e poi amministratore delegato di Fastweb fino al 2010. Per chi pensa alla politica come riflesso di una presenza di popolo la prima reazione alla lettura di questi profili è in entrambi i casi: no comment.

Sono poi entrambi dei “laici” senza alcun manifesto interesse per il fatto cristiano e per le culture anche politiche che ne derivano. Sala appartiene a un ambiente per il quale i cattolici non dovrebbero più esistere e d’istinto non li sopporta. Grazie però a una forte capacità di autocontrollo riesce a farlo vedere il meno possibile. Parisi, che è romano, sembra avere la stima che spesso a Roma un certo ceto dirigente nutre per la Chiesa in quanto istituzione capace di imporsi e di persistere attraverso i secoli. Un riconoscimento di fatto senza ulteriori curiosità ed emozioni. 

Sin qui non c’è motivo di tifare per l’uno o per l’altro. Nei limiti di tale quadro ciò che fa la differenza è la concezione che rispettivamente i due e le coalizioni che li sostengono hanno del potere.  Sala è uno statalista convinto e incrollabile; Parisi tende nella medesima direzione, ma è anche disposto a mettere in discussione il suo statalismo tendenziale. Perciò, con tanti auguri ai milanesi, concludo che se fossi residente a Milano voterei Parisi. Con la viva speranza che nella sua maggioranza ci sia poi gente capace di dimostrargli quanto sarebbe per lui utile e vantaggioso dare spazio anche a chi pensa ci siano più stelle in cielo che nella sua filosofia.