Rutger Hauer: robot, killer, soprattutto Santo Bevitore
Per tutti è il replicante-cult di Blade Runner, ma noi preferiamo ricordarlo come l’inguaribile etilista de La leggenda del santo bevitore. Rutger Hauer, attore olandese morto all'età di 75 anni, è stato il protagonista del miglior film di Ermanno Olmi. Una storia di riscatto e ricaduta continua di un clochard alcolizzato, fino alla Grazia finale.
Per tutti è il replicante-cult di Blade Runner, tratto da un racconto del genio tormentato e criptocattolico Philip K. Dick. Per qualcun altro, compreso chi scrive, è il capitano Étienne Navarre dell’altro cult Ladyhawke di Richard Donner, con l’allora incantevole Michelle Pfeiffer: una storia d’amore e magia ma, stranamente, di perfetta dottrina cattolica. Paradossalmente, l’attore olandese Rutger Hauer se ne è andato nel 2019, anno in cui si svolge la vicenda di Blade Runner, data che a quei tempi (1982) sembrava davvero remota e futuribile. Fu lui a lanciare con I falchi della notte (con un giovane Sylvester Stallone) l’immagine del terrorista internazionale bello e gelido che uccide a sangue freddo senza mai mutare espressione, modello da allora replicatissimo in molti film.
Ma noi preferiamo ricordarlo come l’inguaribile etilista de La leggenda del santo bevitore, con cui il nostro Ermanno Olmi vinse il Leone d’Oro al Festival di Venezia nel 1988. Senza dubbio la migliore opera di Olmi e che permise a Rutger Hauer di dimostrare di non essere solo attore di film d’avventure. Il ruolo era stato offerto, dapprima, all’allora lanciatissimo Robert De Niro, ma il famoso attore, già liberal (lo si è visto di recente presentarsi sulla scena a teatro solo per dire «fuck off Trump»), non ci vide chiaro in quel guazzabuglio in cui c’entrava, figurarsi, santa Teresina di Lisieux. Così, la parte andò ad Hauer, il quale incarnò benissimo il ruolo del clochard viennese così ridotto dall’inguaribile vizio di bere. Tratto da un racconto postumo di Joseph Roth, il film narra di un rottame umano, ex minatore parigino, che dorme sotto i ponti della Senna perché ogni centesimo raggranellato finisce all’osteria.
Pare che si tratti di opera parzialmente autobiografica, ma non importa. Un giorno uno sconosciuto gli offre una somma di denaro perché si rialzi e riscatti; quando avrà ricostruito la sua vita, la restituzione dovrà essere corrisposta alla statua di Santa Teresina, in chiesa. Il beneficato in effetti si riprende e vuole onorare il debito. Ma una serie di incontri lo ostacola, ogni volta. E segue una serie di su-e-giù, con ricadute nel peccato e nel vizio. L’unica cosa che però brilla in questo sfacelo umano è l’ostinata determinazione a ripagare il debito. In un’ennesima crisi etilica, l’uomo, al culmine dell’ubriachezza, scambia una bambina per la Santa e le offre la somma prima di morire. Forse l’autore della storia ha voluto parlarci dell’impossibilità della redenzione, qui in questa vita. Forse, perché di gente che ha dimostrato il contrario ce n’è stata tanta (uno per tutti, san Paolo). Ma il finale par suggerire che non importa il riuscire, il cui happy end non è alla portata delle forze umane, bensì della Grazia. No, quel che importa è il provarci continuamente, rialzarsi dopo ogni caduta. Come alle olimpiadi, l’importante non è tanto vincere quanto partecipare: nel cammino ascetico verso il Regno dei Cieli quel che conta è l’intenzione.
Rutger Hauer interpretò magistralmente il personaggio del perdente alcolizzato ma devoto a una santa cattolica. Invano si cercherebbe un riscontro nella vita di tutti i giorni di questo attore, impegnato con Greepeace e la lotta all’Aids: sì, la cultura politicamente corretta di Hollywood, alle sirene della quale, per sottrarsi, occorrono ben altre tempra e convinzione. Insomma, non era Mel Gibson o Clint Eastwood. Era un bravo attore con la faccia, indovinata, del tipico uomo del Nord. Ci piace immaginare, visto che siamo in tema di storie fantastiche, che ad accoglierlo nell’aldilà si stata proprio Teresina, e che gli abbia condonato i duecento franchi.