Russia-Ucraina, una guerra da capire
Le modifiche all’assetto geopolitico all’origine del conflitto russo-ucraino, la volontà di Kiev di entrare nell’UE, le figure di Putin e Kirill, l’obiettivo di Mosca e la possibilità della pace. Dal videoincontro di ieri tra il direttore Cascioli e lo storico Leoni.
La guerra tra Russia e Ucraina è stata al centro della puntata di ieri dei Venerdì della Bussola (trasmessa in diretta, a partire dalle 14, sul sito e sui nostri canali social) con ospite Alberto Leoni, esperto di storia militare, che ha risposto alle domande del direttore Riccardo Cascioli.
Leoni – autore del libro La guerra tra Russia e Ucraina (Ares, 2024), che analizza quanto avvenuto dalla caduta del Muro di Berlino (1989) in poi – ha ricordato alcuni dei passaggi principali che hanno portato all’attuale conflitto. La «guerra guerreggiata» odierna è giunta al culmine di una serie di situazioni conflittuali che hanno modificato «l’assetto geopolitico». Lo storico ha ricordato ad esempio la Rivoluzione arancione in Ucraina, la Rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan, la Rivoluzione delle rose in Georgia, il programma, poi ritirato, del sistema antimissile della Nato in Europa orientale, il discorso di Putin a Monaco, nel 2007, a proposito di multipolarismo, «uno dei punti di svolta».
Ma il vero problema sarebbe iniziato tra dicembre 2013 e febbraio 2014, con la rivolta di Piazza Indipendenza (“Euromaidan”). Secondo Leoni, è una «falsa narrazione» quella che individua la volontà dell’Ucraina di aderire alla Nato come causa originaria del conflitto odierno. «Il problema è che l’Ucraina voleva entrare nell’Unione Europea. E questo ha mandato a carte quarantotto il progetto geopolitico di Putin di costituire una sorta di comunità economica euroasiatica: senza l’Ucraina questa comunità non si poteva fare». Ciò, aggiunge lo storico, avrebbe poi portato «all’occupazione della Crimea e poi alla successiva guerra del Donbass».
Per Leoni un’altra «narrazione falsa» è quella di dare «sempre la colpa agli Stati Uniti», anche perché questo significa «deresponsabilizzare l’UE». «Le occasioni per arrivare a una pace, per prevenire i conflitti, ci sono state», già nel 2013, quando a guidare la Commissione Europea era Barroso, ma non sono state portate avanti, per «sottovalutazione, ignoranza» o altro ancora.
A Cascioli che chiedeva perché a un certo punto si è interrotto il processo democratico in Russia, Leoni ha risposto parlando di una corruzione che da «endemica» qual era, già prima di Putin, sarebbe gradualmente divenuta «sistemica, cioè serve al regime per mantenersi in piedi». Lo storico spiega che l’attuale presidente ha preso in mano la Russia quando «era effettivamente ridotta ai minimi termini», ma è andato via via stringendo «gli spazi di opposizione. La prima cosa che ha fatto è mettere le mani sulle televisioni». Nel corso degli anni, aggiunge Leoni, «la narrazione di Putin di modernizzazione del Paese è stata sostituita dalla narrazione della Russia come grande potenza, e questo avviene tra il 2011 e il 2012, quando guarda caso si attua un grande piano di riarmo militare. A questa cosa, tra l’altro, non è stata nemmeno estranea la questione delle primavere arabe. Vedere che dei Paesi autoritari, con dei dittatori come Gheddafi, avevano fatto la fine che avevano fatto, è una cosa che dicono abbia molto impressionato Putin. Da parte occidentale naturalmente non ci siamo lasciati scappare l’occasione di fare delle figure meschine, come quella di Hillary Clinton, che, ridacchiando, disse di Gheddafi: “Siamo venuti, l’abbiamo visto ed è morto”. Un cinismo elevato all’ennesima potenza».
A domanda del direttore, Leoni ha offerto un breve ritratto di Putin e ipotizzato quello che potrebbe essere il suo obiettivo. «Conoscendo l’educazione che ha avuto nel KGB e che ha continuato ad avere negli anni successivi alleandosi con diversi settori della società, controllando gli oligarchi, e alleandosi soprattutto con la Chiesa ortodossa e utilizzandola come instrumentum regni, possiamo dire che il suo obiettivo è fondamentalmente quello di riportare la Russia al rango di grande potenza e ai confini di quello che era l’Impero russo, di quella che era l’Unione sovietica».
Riguardo a quanto sia realistica la possibilità che la Russia, dopo l’Ucraina, minacci anche la Polonia, i Paesi baltici e altri, Leoni ha risposto che «il problema non è tanto la potenza delle forze armate russe», ma piuttosto la mancanza di compattezza dei Paesi dell’UE, più in particolare «tutta la debolezza morale dell’Europa», data dal «su che cosa è stata fondata», alla luce del rifiuto del cristianesimo.
A questo proposito, Cascioli ha ricordato come Putin sia visto anche nel mondo cattolico in modo un po’ idealistico, come difensore dei valori tradizionali, ma che questa rappresentazione finisce per essere fuorviante. Leoni, da parte sua, si è soffermato sulla figura controversa del patriarca Kirill, il quale se da un lato dice il giusto quando parla ad esempio di sostenere le famiglie numerose e lottare contro l’aborto, dall’altro segue suoi interessi di potere, secondo una prassi non cristiana, anche sostenendo con «spietatezza» il «concetto di guerra santa». Ad ogni modo, lo storico afferma che bisogna proseguire il dialogo ecumenico, anche perché il mondo russo è lo stesso che «ha dato centinaia di migliaia di martiri durante il comunismo e continua a darli ancora adesso».
Rispetto alle possibilità di raggiungere un accordo di pace, Leoni dice che «purtroppo, i russi si fermeranno solo quando non potranno più avanzare» e solo allora «si potrà ricominciare a trattare». In questo senso, lo storico ritiene che «l’invio di armi all’Ucraina» sia «importante in questo momento», come premessa per fermare l’avanzata della Russia – oggi in una posizione di generale predominio – e tornare a sedersi «al tavolo della pace».
D’altra parte, è bene ricordarlo se si parla di invio di armi, anche laddove il presupposto è la legittima difesa, vanno contemperati vari fattori, tra cui rientrano le reali possibilità di successo dell’azione difensiva, i costi in termini di vite umane e i rischi di un’escalation.
Questi e altri i temi trattati in circa quaranta minuti di diretta, che verso la fine ha visto Leoni impegnato a rispondere a un paio di domande degli spettatori.
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