Ruoli di governo nella Chiesa, è sbagliato nominare i laici
Il servizio di governo della Chiesa è strettamente connesso al sacramento dell'Ordine, come ben spiegato dai testi del Concilio Vaticano II. Ecco perché la Costituzione Apostolica "Praedicate Evangelium", entrata in vigore lo scorso giugno, ripete un vecchio errore quando, al no. 15, afferma che la potestà di governo nella Chiesa può essere delegata ai laici. Se si toglie il sacramento, la guida della Chiesa non è più affidata a Dio ma a un uomo mortale, il Papa.
Il 5 giugno 2022, in occasione della Solennità di Pentecoste, è entrata in vigore la Costituzione Apostolica "Praedicate Evangelium" che riforma la Curia Romana ed arriva al culmine di un percorso iniziato addirittura nelle Congregazioni Generali precedenti al Conclave del 2013. A fine agosto, si è tenuta in Vaticano una riunione convocata da Francesco e dedicata ai temi del nuovo testo a cui hanno partecipato circa duecento cardinali. Durante i lavori, nei gruppi linguistici sono emerse le perplessità di più di un porporato circa la possibilità di designare membri laici alla guida di dicasteri prevista dalla Costituzione.
Su questo argomento, pubblichiamo in esclusiva un intervento del cardinale Paul Josef Cordes [nella foto, di W. Redzioch], presidente emerito del Pontificio Consiglio "Cor Unum", che non è riuscito a presenziare alla riunione del 29 e 30 agosto. In esso, il prelato che San Giovanni Paolo II volle vice-presidente del Pontificio Consiglio per i Laici realizza una riflessione sul nesso tra ruolo di responsabilità nella Chiesa e ministero sacerdotale, richiamandosi all'insegnamento del Concilio Vaticano II ed in particolare del decreto Presbyterorum Ordinis. (Nico Spuntoni)
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In un recente articolo pubblicato da Neue Ordnung, Winfried König - per molti anni capo del dipartimento tedesco della Segreteria di Stato vaticana - pone una domanda provocatoria: "Il popolo di Dio ha bisogno di pastori consacrati?" (1). L'affermazione può sembrare una reminiscenza della questione posta nel contesto della "Via sinodale" tedesca sulla necessità del sacerdozio ordinato nella Chiesa in generale.
L'impostazione dell'articolo di cui sopra, tuttavia, va oltre l'istituzione di un sacerdozio ordinato. L'autore disapprova il distacco del diritto ecclesiastico dal contesto teologico-ontologico e fa riferimento al canonista Rudolf Sohm (†1917). König vede l'inaccettabile ricomparsa dei vecchi errori di questo famoso luterano nientemeno che nella Costituzione papale per la riforma della Curia Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022.
Questo testo contiene un articolo, il 15, teologicamente sorprendente per l'intreccio tra ministero e sacramento, che alla presentazione romana del documento è stato così spiegato dal canonista G. Ghirlanda S.J.: "Secondo Praedicate Evangelium, art. 15, anche i laici possono svolgere tali affari, esercitando la potestà ordinaria vicaria di governo ricevuta dal Romano Pontefice con il conferimento dell’ufficio. Ciò conferma che la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica" (2). Una tale affermazione da parte del neo-nominato cardinale Ghirlanda, anzi la sua ricaduta nell'errata comprensione della Chiesa da parte di R. Sohm, è impegnativa.
Mentre W. König affronta il problema con l'aiuto di alcuni argomenti di natura sia ecclesiologica che sociologica, il seguente breve articolo mio delinea sistematicamente la teologia del sacramento dell'Ordine – secondo il decreto "Presbyterorum ordinis – Sul servizio e la vita dei sacerdoti" (PO). Questo Decreto fu uno degli ultimi del Vaticano II (1965) ad assorbire così tutta la ricchezza teologica che il processo conciliare aveva trasmesso ai Padri conciliari. Questo documento e la storia della sua redazione delineano tre dati che caratterizzano il sacramento d’ORDO: l'integrazione del triplice ministero (munera), la qualificazione dell'esistenza come del servizio della persona consacrata attraverso il dono dello Spirito, e infine il fondamento sacramentale della missione ecclesiale.
1. Integrazione del triplo servizio
Il processo di formulazione del decreto sacerdotale nel Vaticano II mostra una chiara e ferma convinzione dei Padri conciliari di insegnare l'unità dei tre munera del ministero consacrato (munus sanctificandi, praedicandi e governandi, cioè santificazione, evangelizzazione e costruzione della Chiesa attraverso la sua leadership) (3). Il testo finale contiene poi, ai punti 4-6, la presentazione trilingue dei compiti ufficiali, a partire dall'annuncio della Parola (n. 4), attraverso l’Eucarestia come "fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione" (n. 5), fino all’esercizio della “funzione di Cristo capo e pastore" (n. 6).
Così, il testo non lascia dubbi sul nesso della guida ecclesiale al ministero sacerdotale e articola il suo legame insolubile con gli altri due munera: "per questo ministero, così come per le altre funzioni, viene conferita al presbitero una potestà spirituale, che è appunto concessa ai fini dell'edificazione" (n. 6). Rispetto all'identificazione preconciliare, ancora dominante fino ad allora, del sacerdote con il celebrante del sacramento eucaristico, il Vaticano II ha sottolineato l'annuncio della Parola come compito essenziale del sacerdote, chiarendo così il legame intrinseco della celebrazione dei sacramenti della fede con il risveglio e il rafforzamento di questa fede attraverso il servizio della Parola. In questo modo, l'annuncio della Parola si estende alla dispensazione dei sacramenti. Infine, entrambi servono a edificare la comunità in modo tale che il sacerdote celebrante combini il sacrificio dei fedeli con l'unico sacrificio di Cristo (cfr Rm 12,1), perché viene ricordato il suo sacrificio della Croce (4). In questo modo il sacerdote abilita e guida l'edificazione della comunità nel suo triplo ministero (5).
2. Dono sacramentale dello Spirito
Nelle discussioni in corso, il ministero ordinato appare spesso basato su principi empirici e sociologici. Di conseguenza, il ministero degli ordinati sarebbe una funzione puramente pratica della vita comunitaria, assegnata sulla base di una corrispondente delega, eventualmente temporanea, “dal basso”. Tale intesa va di pari passo con l'empowerment positivista di una delega giuridica "dall'alto". Così, però, la nomina ecclesiastica perde il suo decisivo fondamento sacramentale.
Si ignora, che l'effettiva qualificazione della persona consacrata precede l'assegnazione dei servizi in genere. La Chiesa ritiene che il candidato riceva un nuovo, specifico dono di grazia nel sacramento dell'Ordine. Anche in questo caso la storia editoriale del Presbyterorum ordinis è un'utile prova. Su iniziativa di alcuni vescovi e in un consapevole allontanamento dal giuridicismo di stampo occidentale, è stata espressamente sottolineata l'unzione dello Spirito Santo nell'ordinazione sacerdotale. Con ciò, il Concilio chiarisce che lo Spirito Santo rappresenta la concreta abilitazione dell'azione ufficiale del sacerdote nella persona di Cristo e che l'imposizione delle mani è determinata come centro dell'evento dell'ordinazione - fatto che, tra l’altro, è stato registrato nella storia delle forme di ordinazione sin dalla Traditio Apostolica del III secolo. E inoltre il dono dello Spirito qui indicato non è finalizzato a specifiche attività sacre concrete, ma è un talento di grazia, che si riflette nei diversi atti ufficiali.
Alla luce del documento conciliare PO, il dono dello Spirito trasmesso nella consacrazione è il presupposto sacramentale decisivo per l'esecuzione del ministero sacerdotale nell'edificazione della comunità. Se viene così enfatizzata l’abilitazione presbiterale tramite la grazia del sacramento d’Ordine, allora significa che un ufficio ecclesiastico non può essere istituito giuridicamente né da una delega di poteri di politica assoluta (dall'alto) né da una delega di poteri democratica di base locale (dal basso) ai rappresentanti eletti.
3. Il fondamento della trasmissione
In terzo luogo, va notato che l'allocazione positivista dei servizi ecclesiastici per mezzo di semplici atti giuridici ignora il fondamento fondamentale della missione della Chiesa. Se solo la prospettiva giuridica positivista dovesse determinare il servizio ecclesiastico, la Chiesa sarebbe deformata in un corpo sociale assolutista; il suo ancoraggio trascendente fallirebbe.
Il rapporto fondamentale e antropologico tra l'Essere e il Fare passerebbe inosservato. Già l'etica del Nuovo Testamento dell'apostolo Paolo non lascia dubbi. Le sue dichiarazioni di giustificazione non sono giuridiche, ma dichiarazioni di Essere (ad esempio, attrarre Cristo – Gal 3:27, Rm 13:14; Corpo di Cristo – 1 Cor 12,12ss; Romani 12:4s). Di conseguenza, il Decreto conciliare da un lato aderisce all'Essere come il legame del battezzato con Cristo, ma vede l'ORDO come un passo nuovo, che rende poi possibile la missione ministeriale. Una grazia speciale imprime permanentemente una comunione con Cristo nella persona consacrata. Crea – al di là dell'essere cristiano – l'esistenza individuale di un sacerdote, indipendente da una funzione o dall'appartenenza a un gruppo. Orienta anche il sacerdote al di là della comunità, perché il dono della grazia è concepito in modo ecclesiastico-universale: dotato di guida, ha una speciale responsabilità missionaria affinché il messaggio di Cristo raggiunga i confini del mondo (6)
L'attuale catechismo esprime anche il rapporto con l'essere e la missione della consacrazione: "Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re." (CCC 1581).
L'insegnamento del decreto Presbyterorum ordinis e le intenzioni dei Padri conciliari nella sua redazione fanno fallire la derivazione della competenza dirigente ufficiale dai dati giuridico-positivisti. La Chiesa riesce nella costruzione salvifica solo grazie a Dio. Possano i santi e i carismi dare splendore e credibilità alla comunità al di là del ministero ordinato! Ma se la Chiesa non fa espresso riferimento all'ORDO nel suo servizio di guida e questo non è inteso come ancorato in esso - cioè: se il governo della Chiesa si distacca dal sacramento -, rimane soltanto per la sua guida "l'autorità monarchica" (W. König) di un uomo mortale, il Papa.
*Cardinale
1) König, Winfried, Braucht das Volk Gottes geweihte Hirten? in: Die Neue Ordnung 76 (2002), H. 4 (agosto), 292-300.
2) “Secondo Praedicate Vangelo, art. 15, anche i laici possono svolgere tali affari, esercitando la potestà ordinaria vicaria di governo ricevuta dal Romano Pontefice con il conferimento dell’ufficio. Ciò conferma che la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica." – Ghirlanda, Gianfranco, Conferenza stampa di presentazione della Costituzione Apostolica “Praedicate Vangelo” sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo (21.03.2022), in:
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/03/21/0192/00417.html (Accesso: 21.09.2022, traduzione propria).
3) Cf. Cordes, Paul Josef, Sendung zum Dienst. Studi esegetico-storici e sistematici sul decreto conciliare "Vom Dienst und Leben der Priester", Francoforte a. M. 1972, v. a. 153-156.
4) Questa connessione indica il particolare significato che il versetto Rm 15,16 aveva nella stesura del Decreto conciliare: Esprime l'integrazione dell'attività cultuale-sacrale e l'annuncio del Vangelo. L’Apostolo non si identifica semplicemente con la terminologia cultuale dell'AT, ma mostra anche che non vuole ignorarla completamente. Per questo il senso del versetto può articolare “il legame tra compito culto-sacerdotale e la proclamazione del Vangelo” – Cordes, ibid., 156.
5) Per la connessione tra i tre munera nel contesto liturgico cfr CCC 1119: «Mediante il Battesimo e la Confermazione, il popolo sacerdotale è reso idoneo a celebrare la Liturgia; d’altra parte alcuni fedeli, insigniti dell’Ordine sacro, "sono posti in nome di Cristo a pascere la Chiesa con la parola e la grazia di Dio"».
6) Cfr. PO 2, 7, 10; Cordes, ibid., 266.
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