Ruffini nuovo Prodi, il sogno del Pd che insegue i moderati
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A sinistra circola il nome del direttore dell’Agenzia delle Entrate per recuperare i centristi scontenti della Schlein. Una manovra verticistica che probabilmente non basterà a far presa sull'elettorato post-democristiano.
Che la sinistra per tornare al governo abbia bisogno di leader moderati o, come si dice spesso, centristi, non è un mistero. Elly Schlein è in parte riuscita a frenare l’emorragia di voti dem sul versante dell’estrema sinistra, ma non ha alcuna presa sull’elettorato post-democristiano, che anzi non la digerisce. Il Pd, per tentare di tornare al governo passando dalle urne anziché mediante le solite operazioni di palazzo, non deve solo costruire una coalizione coesa con M5s e Avs, ma ha bisogno anche e soprattutto di allargarsi al centro.
Nella classe dirigente del Partito democratico non ci sono però figure carismatiche e attrattive nei confronti dei moderati. I rappresentanti delle correnti centriste e cattoliche sono stati emarginati dalla Schlein e sognano di rifondare la Margherita. In questo modo sperano di contendere i voti degli ex dc, che altrimenti andrebbero prevalentemente a Noi moderati di Maurizio Lupi e quindi al centrodestra o alimenterebbero il serbatoio dell’astensione. “Ci vorrebbe un nuovo Prodi”, vociferano gli scontenti del Nazareno, oppure un “papa straniero”.
Da alcune settimane, in verità, non c’è più il deserto su quel fronte. S’intravvede una candidatura inimmaginabile per la premiership del centrosinistra, forse in grado di stemperare gli eccessi della sinistra ideologica e di riequilibrare il Pd verso il centro, quella di Ernesto Ruffini, 55 anni, direttore dell’Agenzia delle Entrate.
I Franceschini, i Fioroni e il mondo cattolico orientato a sinistra guarderebbero con favore a questa ipotesi. Secondo loro, Ruffini, pur non avendo mai fatto politica, può avere le carte in regola per riportare nel recinto del centrosinistra i voti moderati che si sono dispersi tra astensione e centrodestra.
Ruffini può vantare solide amicizie in Vaticano, anche grazie al fratello Paolo, ex direttore di Tv2000 e attuale prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Il padre dei due, Attilio, è stato un importante esponente della Democrazia Cristiana. Ernesto Ruffini è stimato da Sergio Mattarella e Romano Prodi ed è visto come l’asso nella manica del centrosinistra da Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, Francesco Rutelli e altri centristi doc.
Può essere certamente percepito come nuovo dall’elettorato del centrosinistra. Tuttavia, le incognite non mancano, soprattutto per quanto riguarda le cosiddette ragioni di opportunità.
In queste settimane, 700.000 contribuenti italiani stanno ricevendo comunicazioni dall’Agenzia delle Entrate dal tono vagamente minatorio, contenenti una proposta di concordato. In caso di non accettazione, il fisco potrebbe scatenare controlli, verifiche e ispezioni per vendicarsi della mancata riscossione dei balzelli. D’altronde si sa che i grandi evasori nel nostro Paese continuano a farla franca mentre i contribuenti onesti e ligi ai loro doveri ricevono cartelle esattoriali spesso “pazze” cioè basate su errori di calcolo. Queste lettere portano la firma di Ruffini, che viene percepito da una parte dell’opinione pubblica come “l’esattore delle tasse”. E allora la domanda sorge spontanea: siamo proprio sicuri che sia l’uomo giusto per raggranellare consensi visto che per ora punta solo a rimpinguare le casse del fisco italiano spremendo i contribuenti?
D’altronde il centrodestra ha trovato Ruffini in quel ruolo e ha deciso di lasciarlo lì, quindi non può di certo definirlo un tecnico fazioso e di parte. Rimane però l’imbarazzo di avere ai vertici dell’Agenzia delle Entrate una persona che non ha mai smentito le voci di un suo impegno in politica. È opportuno che un servitore dello Stato quale certamente dev’essere la guida del fisco italiano, nel tempo libero faccia campagna elettorale, si spenda in favore di una parte politica, manifesti un gradimento per il centrosinistra e quindi dichiari di lavorare per un’alternativa all’attuale governo?
Probabilmente Ruffini è combattuto tra il desiderio di scendere in campo in modo palese, col rischio però di urtare la suscettibilità della Schlein che studia già da presidente del Consiglio, e la prudenza democristiana che gli suggerisce di temporeggiare e lavorare nell’ombra, considerato che il voto politico, a meno di evoluzioni clamorose, è previsto per il 2027. E si sa che tre anni in politica equivalgono a un’era geologica. Tante cose possono cambiare e le immagini dei personaggi politici, nell’era del web e dei social, si usurano rapidamente.
Va fatta, infine, una considerazione generale, a prescindere dalla personalità e dalle qualità di Ruffini. Ancora una volta la selezione della classe dirigente sembra passare da meccanismi di cooptazione dall’alto e dal ricorso a figure tecniche anziché seguire l’iter naturale della selezione fondata sulla sensibilità politica e la capacità di aggregare voti nella società attraverso l’impegno sul territorio. L’operazione Ruffini sa tanto di manovra verticistica per rimotivare poteri che, dopo la vittoria della Meloni di due anni fa, sono entrati in letargo. Ma basterà il capo del fisco italiano a riportare la sinistra ai fasti prodiani?