Risarcire gli immigrati illegali, l'ultima sorpresa della Cassazione
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Emigranti soccorsi in mare dalla nave della guardia costiera Diciotti, nell'agosto del 2018, ora oggetto di una sentenza incredibile. La Cassazione condanna il governo a risarcirli, perché lo sbarco era stato dilazionato di cinque giorni, una volta che la nave era approdata a Catania. Una sentenza che non si spiega, se non come un atto politico.

Il 16 agosto 2018 la nave della guardia costiera italiana Ubaldo Diciotti soccorreva nel Mediterraneo un barcone con 190 persone a bordo, tutti emigranti illegali, dopo che Malta aveva rifiutato di intervenire benché l’imbarcazione si trovasse nella sua zona di ricerca e soccorso. 13 persone erano state portate a Lampedusa per ragioni sanitarie. Malta ha rifiutato di lasciar sbarcare le altre e quindi la Diciotti si è diretta verso il porto di Catania dove è arrivata il 20 agosto. Donne e minori sono stati subito trasferiti a terra, gli altri passeggeri hanno ottenuto il permesso di lasciare la nave il 25 agosto.
Alcuni di loro hanno intentato causa al governo italiano denunciando di aver subito una illegittima privazione della libertà e chiedendo un risarcimento per danni morali. Il 6 marzo le sezioni unite della Corte di Cassazione, diversamente da quanto deciso dalla Corte d’appello di Roma in precedenza, hanno dato loro ragione, accogliendone il ricorso.
Sono stati ingiustamente trattenuti, hanno diritto a essere risarciti dallo Stato italiano, spetterà al giudice di merito la quantificazione del danno. Questa in estrema sintesi è la sentenza, a proposito della quale occorre fare una prima osservazione. Per intendere l’italiano, il linguaggio in uso tra i giudici della Cassazione ci vuole un interprete o se non altro tanta pazienza. «Non si è di fronte ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali – spiegano ad esempio, in uno dei passaggi della sentenza peraltro tra i più chiari – si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini».
Più intellegibile, spiegato meglio, risulta il punto in cui i giudici ricordano che il soccorso in mare è un preciso dovere di chiunque abbia «notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità e come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell'immigrazione irregolare». È non solo intellegibile, ma condivisibile: non si lascia annegare la gente.
Invece agli occhi del cittadino comune, quello di cui si useranno le tasse per risarcire degli emigranti illegali, è difficile capire perché fosse imperativo sbarcarli subito e perché averli trattenuti sulla nave per alcuni giorni rappresenti una illegittima privazione della libertà. Erano su una nave italiana, quindi già in territorio italiano, al sicuro, in buone mani, assistiti con cura. Però erano irregolari, vale a dire privi dei documenti richiesti agli stranieri per entrare in territorio italiano, e allora il cittadino comune si domanda da quando ha diritto di muoversi in libertà uno straniero che non è in regola. Se lo domanda tanto più se sa che Matteo Piantedosi, all’epoca capo di Gabinetto del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, aveva spiegato che in quel periodo c’era un allarme generalizzato sulla possibile infiltrazione di soggetti radicalizzati in Italia attraverso i barconi: «il modello di comportamento adottato dal Viminale teneva conto del pericolo», in altre parole rispondeva al dovere imprescindibile di un governo di tutelare la sicurezza nazionale monitorando le frontiere.
Salvare chi rischia di annegare è un dovere, poi però, prima di lasciarlo libero di circolare, se ne controllano identità e documenti. Così ragiona il cittadino comune, a meno che, però, non sia influenzato dai mass media: quelli che in queste ore, nell’esporre e commentare la sentenza della Cassazione, chiamano le persone a bordo della Diciotti “profughi”. Allora la narrazione e quindi la percezione e il giudizio cambiano perché i profughi sono persone minacciate da guerre, violenza, persecuzione, in fuga per salvare vita e libertà e, se per mettersi al sicuro, lasciano i paesi di origine hanno diritto di chiedere e ottenere asilo. Sembra di infierire su di loro, vittime due volte, se Malta, Italia e gli altri paesi europei si mettono a discutere su chi li deve soccorrere e ospitare. Merita dunque ribadire che a ogni sbarco il numero di profughi è sempre minimo, a volte pari a zero. Ma si dichiarano profughi, proprio perché non hanno documenti in regola e solo così evitano di essere fermati e respinti.
Le prime reazioni del governo sono comprensibilmente indignate. La sentenza arriva a pochi giorni dalla presentazione al Parlamento dell’inquietante relazione dei servizi segreti sui seri, crescenti problemi di sicurezza dell’Italia. Interpellato, il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani ha detto: «non so cosa rispondere, credo che il dovere del governo è di difendere i confini nazionali, ma se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento così facciamo fallire le casse dello Stato. È una sentenza che non condivido, non ne condivido le basi giuridiche». Il Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ha commentato: «le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno condannato il governo a risarcire un gruppo di immigrati illegali trasportati dalla nave Diciotti perché il governo di allora, con Ministro dell'Interno Matteo Salvini, non li fece sbarcare immediatamente in Italia. In sostanza, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano».
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