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GIUSTIZIALISMO

Riflettori spenti sul Di Pietro che si pente

Antonio Di Pietro, protagonista della stagione di Mani Pulite, si è pentito di quel che ha fatto. Ma le sue interviste, clamorose, fanno poca notizia. Mentre sarebbe doveroso riaprire il dibattito su quel vero disastro politico ed economico.

Politica 16_09_2017
Il pool di Mani Pulite (Di Pietro, primo a sinistra)

Sorprende l’eco relativamente assai scarsa che si sta dando all’inattesa autocritica che Antonio Di Pietro ha fatto lo scorso 7 settembre nel corso di una puntata della trasmissione L’aria che tira/Estate in onda sulla rete televisiva La7. Quanto l’ex pubblico ministero di Mani Pulite ha detto nella circostanza riapre il dibattito sul senso e sulle conseguenze della famosa inchiesta giudiziaria che nel febbraio 1992 aprì una crisi politica fino ad oggi non conclusa. C’è pertanto qualcosa di altamente sospetto nel fatto che si cerchi di evitare lo sviluppo di tale dibattito.

In una puntata de L’aria che tira/Estate (tuttora reperibile su You Tube) nella quale si stava discutendo di tutt’altro, a titolo di esempio e di confronto l’ex magistrato e oggi uomo politico è venuto inaspettatamente a parlare di Mani Pulite dicendo frasi come “Ho fatto l'inchiesta Mani Pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, che era la corruzione e ce n'era tanta, ma anche le idee" (…).  “Al tempo della cosiddetta Prima Repubblica, nelle loro diverse forme, in quel pentapartito pieno di corruzione, le idee erano giuste, erano i comportamenti a essere sbagliati. Allora ci si basava sul senso di democrazia, solidarietà, economia, bene del popolo. La Democrazia cristiana è nata sull'idea delle convergenze popolari, il Partito comunista si basava sull'idea di solidarietà popolare. Tutti valori ottimi e necessari”.  Con un coraggio ammirevole, anche se tardivo, venticinque anni dopo i fatti  l’ex magistrato giunge insomma a condividere il giudizio che già allora ne avevano dato alcune poche personalità autorevoli e preveggenti. Tra queste don Luigi Giussani, il quale già nel 1993 non aveva esitato a definire Mani Pulite “un'azione che per punire colpevoli distrugge un popolo”.

 "Ho fatto politica basandola sulla paura e ne ho pagato le conseguenze", ha ammesso Di Pietro aggiungendo di essersi reso conto di aver sbagliato a costruire la sua politica “sulla paura delle manette, sul concetto che erano tutti criminali". Sono parole che inducono a credere avesse ragione chi in quegli anni vedeva in Di Pietro lo strumento non sempre consapevole di un gioco più grande di lui.

Intervistato qualche giorno dopo dal quotidiano online Il Sussidiario, l’ex PM di Mani Pulite ha  ribadito che “Purtroppo da quell'inchiesta si è creato un vuoto, non solo un vuoto di figure politiche, ma dell'idea stessa della ricostruzione della politica. L'inchiesta era doverosa, ma chi voleva fare o restare in politica doveva costruire una idea politica (…). “La colpa non la dò all'inchiesta, la dò a una mancanza di idee politiche”, continua l’ex magistrato. Di Pietro ha esteso poi la sua critica affermando che “Tra i tanti effetti di Mani Pulite, c'è stato anche l'effetto emulazione: sono nati i magistrati dipietristi. E' uno dei rischi che la magistratura deve evitare. (…) la magistratura deve intervenire quando c'è il reato; la magistratura che vuole invece sapere se c'è il reato è una magistratura pericolosa, perché con le indagini esplorative si crea il delinquente prima che ci siano le prove”.

Pure questa intervista, tuttora reperibile via Internet, merita di venire letta per intero, anche se ne resta fuori un importante capitolo dei nefasti… effetti collaterali di Mani Pulite: lo sconquasso, fino ad oggi non rimediato, della grande industria italiana. Uno sconquasso che ebbe il suo tragico culmine nel luglio 1993 con il suicidio in carcere dell’ex presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, e con il suicidio, nell’imminenza del suo arresto, del presidente del gruppo Ferruzzi-Montedison, Raul Gardini; e da cui la stessa Fiat, pur avendo saputo come sfuggire ai clamori dell’inchiesta, uscì definitivamente indebolita. C’è una preoccupante concomitanza tra l’estendersi dell’inchiesta Mani Pulite alla grande industria italiana e l’avvio dell’affrettato ingresso dell’Italia nell’euro costato il disfacimento oppure il passaggio sotto controllo straniero di diversi grandi gruppi industriali di importanza strategica.

Il ripensamento di Antonio Di Pietro apre la via a una revisione complessiva del giudizio su quanto è accaduto in Italia da Mani Pulite ad oggi. Una revisione molto utile, se non forse necessaria, nella prospettiva della ricerca della via d’uscita da una crisi politica che tarda ancora a finire, con evidenti contraccolpi negativi sulla situazione economica. Perciò, dicevamo, il tentativo di spegnere tale dibattito è molto sospetto.