Resistenza senza armi, vittoria della carità cristiana
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Sacerdoti e laici, obiettori di coscienza e coloro che donarono la vita per la salvezza di molti altri. Fu la forma di Resistenza più diffusa, ma anche la più dimenticata dai libri di storia. Fu la Resistenza della Carità.

Spesso chi inneggia alla Resistenza dichiara che tutto il popolo italiano aderì all’insurrezione armata. Così almeno vuole una certa vulgata, forse ispirata dal libretto “Un popolo alla macchia” del leader comunista Luigi Longo. In realtà non fu così anche se molti italiani, specie nelle campagne, diedero sostegno logistico ai partigiani, rischiando vita e beni.
Molto più diffusa (e ignorata) è un’altra Resistenza: quella della Carità, quella tesa soltanto a salvare vite al prezzo della propria. Questa Resistenza fu attiva sin dal primo momento come testimoniato da Lionello Leoni che, nel 1943, aveva tredici anni e abitava a Bologna in via Bellombra. Dopo l’8 settembre i militari italiani a Bologna furono rinchiusi in una caserma in viale Panzacchi. Lì vicino scorreva il canale Aposa che portava verso le colline. Una sera, decine di militari fuggirono per il canale sotterraneo e riemersero in via Bellombra cercando un rifugio in qualche casa privata. Quando una pattuglia tedesca arrivò sul posto in caccia dei fuggitivi non trovò nessuno perché tutti i soldati erano stati ospitati nelle case vicine a rischio di arresto o deportazione: e c’è da chiedersi quanti episodi come questo non siano mai stati narrati.
Possiamo qui citare solo poche storie, pochi volti come quello di padre Placido Cortese di Padova (servo di Dio), direttore del Messaggero di Sant’Antonio e che aveva condannato con forza gli eccidi commessi dai repubblicani spagnoli contro religiosi e credenti durante la guerra civile. Padre Cortese era dalla parte degli oppressi e dall’ottobre 1943 costituì una rete di salvataggio di ebrei e perseguitati, prelevando le foto dagli ex voto dall’Arca del Santo per farne documenti falsi. Almeno 300 persone furono salvate da lui e dalle famiglie che lo aiutavano con l’organizzazione “Fra-Ma” dal nome dei suoi fondatori: il cattolico Ezio Franceschini e il comunista Concetto Marchesi, entrambi docenti universitari. L’organizzazione fu smantellata dalla polizia fascista. Padre Cortese morì sotto tortura a Trieste e “passò per il camino” della Risiera di San Sabba.
Un’altra figura di resistente disarmato è quella di Odoardo Focherini, giornalista, assicuratore di Carpi, nominato “Giusto fra le nazioni” allo Yad Vashem di Gerusalemme. Con l’aiuto di don Dante Sala riuscì a salvare oltre cento ebrei dalla deportazione prima di essere arrestato l’11 marzo del 1944. Incarcerato a Bologna, poi al campo di concentramento di Fossoli, Focherini venne deportato in Germania dove morì per un’infezione a Hersbruck tra le braccia di Teresio Olivelli. Anche Olivelli sarebbe morto di lì a poco, per un calcio al ventre di una guardia, nel tentativo di salvare un detenuto da un pestaggio. Sia Focherini sia Olivelli sono stati dichiarati beati dalla Chiesa cattolica.
La Resistenza di Josef Mayr-Nusser, anch’egli beato non ha nulla di militare ed è simile in tutto a quella, più conosciuta, dell’austriaco Franz Jagerstatter. Nato a Bolzano nel 1910, Josef fu dirigente dell’Azione Cattolica e avversò il nazismo sin dal principio. Quando il Trentino Alto Adige fu incorporato nel Reich Josef fu costretto a prestare servizio militare nelle SS e a giurare fedeltà a Hitler. Fu a questo punto che avvenne quello che Mayr-Nusser sentiva come inevitabile. Josef alzò la mano per parlare e dichiarò ad alta voce: «Signor maresciallo, io non posso giurare fedeltà a Hitler». Si può immaginare il momento raggelante di imbarazzo per il maresciallo e le reclute intimorite. Il sottufficiale avvertì il comandante della compagnia e chiamò a rapporto Mayr-Nusser, il quale precisò di non poter giurare per motivi religiosi, dichiarando il tutto per iscritto e a un suo compagno disse: «Se mai nessuno trova il coraggio di dire loro che non è d’accordo con la loro ideologia nazista, allora le cose non cambieranno mai».
Imprigionato, processato, fu condannato a morte ma la sentenza fu sospesa e venne trasferito a Dachau con altri quaranta obiettori di coscienza. Josef, stremato dalle malattie e dagli stenti, morì durante il viaggio di trasferimento e fu sepolto a Erlangen. Nel febbraio del 1958, i resti furono portati a Bolzano, nel duomo di Bolzano, a conclusione del processo di beatificazione, iniziato molto tempo dopo la sua morte.
In Italia molti sacerdoti intrapresero da subito la Resistenza per proteggere i perseguitati. Un caso notevole è quello delle parrocchie dell’Appennino reggiano e modenese con numerosi sacerdoti che rischiarono e persero la vita: uomini che avevano addosso “l’odore delle pecore” secondo una felice espressione di papa Francesco.
Don Domenico Orlandini, parroco a Poiano, era amico di don Pasquino Borghi, parroco a Villa Minozzo ma i due erano due tipi assai diversi. Domenico era atletico ed estroverso, Pasquino aveva l’aspetto di un mite intellettuale, per quanto fosse stato missionario in Sudan. Anche loro dopo l’8 settembre costruirono una rete per salvare i prigionieri di guerra e i perseguitati con Orlandini che accompagnava i fuggiaschi fino in Abruzzo, oltre quella che era la linea del fronte, sfuggendo alla morte in modo rocambolesco. Quando raggiunse gli Alleati Orlandini seguì un corso da sabotatore e da paracadutista e tornò sulle sue montagne costituendo una brigata partigiana cattolica, la 248° “Fiamme Verdi”: “Comandante Carlo” era il suo nome di copertura. Un episodio tra tanti: un alpino della Repubblica sociale stava per essere fucilato da due partigiani comunisti sul monte Tondo, ma all’ultimo momento arrivò «Carlo» che abbracciò l’alpino e fermò l’esecuzione. Poiché i due partigiani non erano ancora convinti, «Carlo» alzò la pistola contro di loro e mormorò soltanto «Tucàl...».
La vita di don Pasquino (“Albertario”) fu molto più breve. Nel gennaio del 1944 Giuseppe Dossetti gli disse che i fascisti lo pedinavano e non poteva tenere nella sua canonica fuggiaschi e renitenti alla leva al che Pasquino rispose: «Ma dove li mando con trenta centimetri di neve?» Pochi giorni la canonica venne perquisita e i protetti di don Pasquino, scoperti, riuscirono a fuggire. Non così “Albertario”, arrestato, percosso, umiliato e, alla fine, fucilato il 30 gennaio 1944.
Per finire è giusto narrare di chi diede consapevolmente la propria vita per salvare dei civili innocenti. La figura di Salvo d’Acquisto, fucilato dai tedeschi a torre di Palidoro il 22 settembre del 1943 è universalmente conosciuta ma non è l’unica nella storia della Resistenza.
Come lui vi è Bruno Bandellero, campione di boxe, iscritto all’Azione cattolica, comandante di una formazione partigiana in Veneto. Durante un rastrellamento in contrada Vallortigara respinse un attacco nazista ma i tedeschi minacciarono di distruggere il paese se non si fosse dato prigioniero. Brandellero si consegnò ai tedeschi e venne fucilato il 26 giugno 1944.
Una storia assai simile è quello di Pietro Borrotzu, ufficiale dell’esercito, che salvò il paese di Chiusola in provincia di La Spezia dando la propria vita il 5 aprile 1944, come lo è quella di tre carabinieri, Alberto La Rocca, Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti che si arresero ai tedeschi per salvare la vita di dieci ostaggi a Fiesole, il 12 agosto 1944.
Se è doveroso cercare la verità in crimini e stragi commessi dai partigiani è sommamente ingiusto non ricordare o ignorare figure come queste.