Repressione nello Xinjiang. I documenti che inchiodano Xi
La persecuzione di un popolo musulmano di cui si parla meno è, paradossalmente, quella più grave, per intensità e numeri. Stiamo parlando della repressione del popolo degli uiguri, prevalentemente musulmano, da parte della Repubblica Popolare Cinese. Nuovi documenti inediti provano la responsabilità di Xi Jinping.
La persecuzione di un popolo musulmano di cui si parla meno è, paradossalmente, quella più grave, per intensità e numeri. Stiamo parlando della repressione sistematica del popolo degli uiguri, prevalentemente musulmano, da parte della Repubblica Popolare Cinese. Nuovi documenti inediti, approdati a Londra in settembre e ora di pubblico dominio, rivelano quanto le massime cariche di Pechino siano direttamente responsabili di quanto sta accadendo nella Regione autonoma dello Xinjiang, il territorio della Cina occidentale (ex Turkestan) abitato da una maggioranza uigura.
La serie di documenti è giunta, nel settembre del 2021, nelle mani del Tribunale Uiguro, con sede a Londra, consegnata da una persona coperta dall’anonimato. È ancora misteriosa l’origine di questi files e come siano usciti dalle strutture del Partito Comunista Cinese. Gli stessi documenti erano stati pubblicati in parte dal New York Times nel 2019. Gli “Xinjiang Papers” come sono stati ora chiamati, sono stati consegnati a tre accademici, considerati i massimi esperti in materia, per verificarne l’autenticità: Adrian Zenz, David Tobin and James Millward. Solo dopo un lungo controllo, la Bbc ha deciso di divulgarne il contenuto.
Secondo il rapporto pubblicato da Adrian Zenz, il passaggio dalle dichiarazioni di intenti dei vertici all’esecuzione materiale della persecuzione sul terreno, è molto più “vasto, dettagliato e significativo” di quanto si credesse in passato. Il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang, insomma, non sarebbero solo dei “mandanti morali” di quanto sta accadendo.
L’importanza di questa documentazione non è da sottovalutare: «Quasi tutto il materiale è classificato come “riservato”. Un documento che contiene tre discorsi del presidente cinese (più correttamente: il segretario generale) Xi Jinping, è classificato come “top secret” – scrive il dottor Zenz nel suo rapporto – Si tratta del più alto livello di segretezza in Cina per un documento governativo, il cui contenuto, se fosse trapelato avrebbe potuto “causare danni particolarmente gravi agli interessi e alla sicurezza del Paese”. Per fare un confronto, il livello di classificazione dei principali telegrammi dei “China Cables” (documenti del 2019, sempre sulla persecuzione dei uiguri, ndr) era “segreto”, (un livello inferiore, ndr). Questa dunque è la prima volta che materiale classificato “top secret” prodotto da un capo di Stato cinese diventa di pubblico dominio, fatto che non era stato originariamente menzionato dal New York Times».
Una svolta della politica di sicurezza cinese nello Xinjiang è avvenuta nel 2014. Non che prima la popolazione locale fosse libera, ma da quell’anno la regione “autonoma” si è trasformata in un vero e proprio carcere a cielo aperto. Due attentati a mezzi pubblici di Pechino e Kunming, rispettivamente nel 2013 e 2014, attribuiti a terroristi islamici uiguri hanno fornito il pretesto principale per queste decisioni.
La repressione chiesta direttamente dal governo centrale di Pechino, ha assunto da subito le modalità che ormai ben conosciamo: internamento di massa nei campi di rieducazione e programmi che teoricamente mirano alla “riduzione della povertà” ma che si traducono in una deportazione di lavoratori forzati in altre regioni della Cina. La dimensione etnica della persecuzione è molto forte: la popolazione viene “ottimizzata” attraverso il trasferimento nello Xinjiang di milioni di cinesi di etnia han (quella maggioritaria in Cina), la sterilizzazione forzata delle donne uigure e l’imposizione della lingua cinese nelle scuole. Le pratiche religiose musulmane sono fortemente ostacolate: vietati i digiuni, trasformate le moschee (destinate spesso ad altri scopi), puniti severamente i segni della fede o anche solo i costumi islamici, quali la barba o il velo delle donne. Per un controllo ancora più capillare, funzionari comunisti (di etnia han) vengono letteralmente assegnati alle famiglie uigure, per vivere notte e giorno assieme a loro e fare sia da educatori che da spie.
Questa persecuzione viene sistematicamente nascosta dalla Cina, che ha costruito un’intera narrazione sulla presunta “emancipazione” del popolo uiguro, tramite le “scuole di avviamento professionale” (in realtà sono campi di rieducazione forzata) e il miglioramento della condizione delle donne (che, sterilizzate, non sono più “macchine da figli”). Complice di questa campagna di dissimulazione è anche il silenzio assordante del mondo islamico, pronto a denunciare ogni forma di “islamofobia” occidentale, ma stranamente poco interessato all’Oriente comunista.
Dall’analisi di Adrian Zenz, emerge anche la causa ultima di questa immensa persecuzione, che colpisce milioni di persone. Una causa che riguarda anche l’Italia, indirettamente, firmataria dei protocolli della Nuova Via della Seta. «In un discorso top secret, Xi sostiene che la Nuova Via della Seta, il suo principale progetto di politica estera, richieda un ambiente interno stabile e sicuro. (Il presidente, ndr) afferma che l’intera sicurezza nazionale del Paese e il raggiungimento dei principali obiettivi della Cina nel Ventunesimo secolo, siano in discussione finché la situazione nello Xinjiang meridionale non sia sotto controllo. Xi chiede che la regione sia impegnata in una lotta senza quartiere, per “impedire alle attività terroristiche violente dello Xinjiang di diffondersi nel resto della Cina”. Egli nota che, considerando che attività violente sono già arrivate in altre regioni, “proponiamo che lo Xinjiang attraversi un periodo doloroso di trattamento invasivo”».