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LA SETTIMANA

Renzi alla prova della concertazione

Quali sono, in campo soprattutto politico e sociale, gli avvenimenti  previsti nella settimana che meritano particolare attenzione? Robi Ronza risponde a questa domanda dal suo punto di vista con  la rubrica che inizia oggi, intitolata appunto “La settimana”.

Cronaca 07_10_2014
Matteo Renzi

Quali sono, in campo soprattutto politico e sociale, gli avvenimenti  previsti nella settimana che meritano particolare attenzione? Robi Ronza risponde a questa domanda dal suo punto di vista con  la rubrica che inizia oggi, intitolata appunto “La settimana”.

Oggi, 7 ottobre, Matteo Renzi riceverà a Palazzo Chigi i rappresentanti dei sindacati. Oggetto dell’incontro: in primo luogo il progetto  di riforma del lavoro che, persistendo l’attuale fastidioso vezzo di abusare dell’inglese (spesso maccheronico, come anche in questo caso), è più noto come jobs act.  È poi anche in programma un esame della proposta di offrire ai lavoratori dipendenti l’alternativa tra ricevere la “liquidazione” (Tfr) alla conclusione del contratto oppure trasformarla in una mensilità aggiuntiva annuale. Per un premier che aveva avuto il merito di voler mandare in soffitta la cosiddetta concertazione si tratta di vedere se si tratterà di una resa, o invece di un gesto distensivo senza sostanziali conseguenze.

Figlia del connubio contro natura fra le logiche della guerra fredda e l’eredità del corporativismo di matrice fascista, la concertazione è sopravvissuta al crollo del muro di Berlino. E si è sempre più trasformata in un potente meccanismo di blocco che ha contribuito non poco a impedire le riforme strutturali di cui il nostro Paese ha quanto mai bisogno. Per “concertazione” s’intende l’impegno che la DC aveva silenziosamente ma fermamente assunto con il PCI di non dare forza di legge ad alcuna norma in materia di relazioni di lavoro se non appunto concertandole preventivamente con i sindacati confederali, di cui la Cgil, allora strettamente legata al PCI, dirigeva l’orchestra. In questo modo si dava di fatto al PCI, escluso dall’area di governo in forza dei vincoli della guerra fredda, un ruolo di governo indiretto in campo sociale e quindi economico.

Per uno di quei paradossi di cui la storia non è mai avara, lo strumento tecnico attuativo di tale compartecipazione era stato principalmente trovato in un meccanismo di tipica matrice corporativa fascista, ovvero la validità erga omnes dei contratti nazionali di lavoro stipulati dalle corporazioni. Nella nuova Italia democratica tale loro antico ruolo passò ai sindacati “maggiormente rappresentativi”. La  maggiore rappresentatività veniva però riconosciuta a priori, senza verifica alcuna, a quelli confederali, ossia alla Cgil e rispettivamente alla Cisl e all’Uil, le confederazioni sindacali legate rispettivamente alle principali forze politiche della Prima Repubblica. Adesso la Prima Repubblica non c’è più, e i sindacati confederali hanno più iscritti tra i pensionati che tra i lavoratori attivi. Non c’era più nessun buon motivo perché la concertazione continuasse. Quindi Renzi aveva tutte le ragioni per liberarsene. Vedremo questa sera se c’è riuscito o meno.   

Domani, mercoledì 8 ottobre, i capi di stato e di governo dell’Unione Europea s’incontreranno a Milano per una loro conferenza sul tema del lavoro, convocata dall’Italia in quanto presidente di turno dell’Unione. In forza di tale ruolo il nostro governo ha scelto Milano quale sede ordinaria dei vertici europei in programma nel corrente semestre. Se ne sono già svolti parecchi, avvolti per lo più in un silenzio tombale. Se ne accorgevano quasi soltanto gli abitanti delle vie del quartiere dove sorge il palazzo congressi della Fiera, sede degli incontri, spesso costretti a scomode deviazioni a causa della chiusura al traffico delle vie di casa; e anche impediti dall’imbucare la posta nelle cassette all’angolo, chiuse con vistoso “scotch” adesivo a banda larga perché così (a detta degli esperti ministeriali dell’anti-terrorismo) gli eventuali terroristi attentatori non avrebbero più saputo dove mettere le loro bombe. Davanti all’ingresso del luogo degli incontri a far compagnia agli agenti di polizia non si vedeva nessuno: nessun “parterre” di cronisti, e neanche uno straccio di manifestazione di protesta.  

A parte beninteso le bombe (ma le cassette postali sono chiuse con lo scotch, quindi possiamo stare tranquilli), c’è da prevedere che il vertice di domani faccia più notizia. Ed è evidente che Renzi ha bisogno di arrivarci potendo dire che l’incontro con i sindacati è andato bene.

In sede internazionale non ci sono grandi appuntamenti di calendario. Tra l’altro, si licet parva componere magnis, resta ancora a bagno maria la nomina del nostro ministro degli Esteri Federica Mogherini a responsabile degli affari internazionali dell’Unione. Filtra la notizia che i capi di stato e di governo ne parleranno domani a Milano in margine al loro incontro sul lavoro. Speriamo bene: per lei? Per noi? Per l’Europa? Lasciamo che questo lo decida ciascuno in cuor suo. Frattanto però tutto tace con riguardo alla crisi dell’Ucraina e non c’è alcuna rilevante presenza europea nella gestione della drammatica crisi nel Vicino e Medio Oriente dove le popolazioni civili, e in particolare i cristiani e le altre minoranze, pagano a caro prezzo l’incapacità delle grandi potenze di togliere di mezzo le bande dell’IS pur avendo tutta la superiorità militare e tutti gli appoggi e le alleanze  sul terreno che bastano per liberarsene nell’arco di poche settimane.