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IL BELLO DELLA LITURGIA

Rembrandt e quella luce di Gesù che illumina Simeone

Il Cantico di Simeone è considerato l'ultimo lavoro di Rembrandt. La Presentazione di Gesù nel Tempio è un suo lavoro ancora giovanile. Entrambi ritraggono l’istante in cui Simeone, che sa di essere vicino alla morte ma che continua a sperare di conoscere Cristo, sa di avere fra le braccia il tanto atteso Messia. Che lo illumina di luce divina.

Cultura 02_06_2018
Presentazione di Gesù al Tempio

Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele;  lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Lc 2, 25-26

Il sabato della settimana della I domenica dopo Pentecoste la liturgia ambrosiana ricorda, nel Vangelo, il Nunc Dimittis, il cantico di Simeone. La figura dell’anziano ebreo, uomo giusto e pio, che aspettava pazientemente il conforto di Israele, ha ispirato più volte il pennello di Rembrandt, eccelso pittore olandese, annoverato tra i più grandi maestri europei di tutti i tempi.

Partiamo dalla fine e raccontiamo di quel prezioso dipinto che è il Cantico di Simeone, conservato al Nationalmuseum di Stoccolma. Tanto più prezioso dal momento che è considerato l’ultimo suo lavoro, realizzato poco prima di morire nel 1669 e trovato, incompiuto, nel suo studio. Rembrandt qui dimostra di essere anche un fine esegeta poiché fissa sulla tela, con una pittura fatta solo di luce, quel preciso momento, l’istante in cui l’uomo Simeone, che sa di essere vicino alla morte ma che continua a sperare di conoscere Cristo – sostenuto dalla promessa fattagli dallo Spirito - si accorge di avere tra le braccia il tanto atteso Messia, consolazione di Israele ma prima di tutto sua. Il ritratto di Simeone è quello di un uomo vecchissimo, quasi cieco che quindi riconosce per fede quel Bambino che il pittore sceglie di dipingere come un neonato della sua epoca.

Cantico di Simeone

Fede e Speranza, due Virtù che sorreggono anche Anna, la profetessa. Torniamo indietro nel tempo, andiamo ad Amburgo ed entriamo nel Kunsthalle dove si trova l’olio del giovane Rembrandt – la tavola è datata 1628 ca – della Presentazione di Gesù nel Tempio. Rispetto alla versione più tarda quella amburghese è più “affollata”. Qui sono quattro i personaggi perché, oltre a Anna e Simeone, ci sono Giuseppe e Maria. Il nome della profetessa, Anna, significa: Dio mi ha usato grazia. Il gesto eloquente che il pittore le attribuisce afferma proprio questo. Le braccia della donna sono spalancate per manifestare la meraviglia, lo stupore, l’emozione provati nei confronti di un avvenimento inaspettato ma sempre, anche per lei, atteso. Sono levate in alto, a glorificare Dio.

Con la sua grande mano Simeone tiene saldo Gesù sulle ginocchia mentre si rivolge a Maria, accostandosi a Lei senza, però, toccarLa, con estrema naturalezza e tutta la delicatezza necessaria per comunicarLe che anche a Lei “una spada trafiggerà l’anima”. La Vergine, in adorazione del Figlio, ha le dita intrecciate, in una posa che esprime concentrazione e massima attenzione rispetto a quanto Le sta sussurrando il sacerdote. Sono le parole che Lei avrebbe, poi, serbato nel Suo cuore. L’umile Giuseppe è rappresentato di spalle, immerso nell’oscurità che il Suo ruolo di presenza costante ma silenziosa gli riserva.

Infine, Gesù, luce per illuminare le genti, che illumina con la Sua ancora piccola figura le pareti del Tempio perché la Parola incarnata è destinata ad uscire da lì e diffondersi per il mondo intero.