Regolare le lobby, il Parlamento ci riprova
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Stando a questa nuova proposta di legge, chiunque svolga attività di lobbying dovrà obbligatoriamente iscriversi al registro e aggiornare con cadenza settimanale le informazioni sugli incontri avuti con rappresentanti delle istituzioni.

Dopo anni di tentativi andati a vuoto, il Parlamento italiano torna a mettere mano a una materia tanto discussa quanto urgente: la regolamentazione dell’attività di lobbying. Con la presentazione della proposta di legge a firma di Nazario Pagano, capogruppo di Forza Italia e presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, si apre un nuovo capitolo in una vicenda politica che da tempo attende di trovare una sistemazione normativa chiara e definitiva.
Il testo, presentato il primo aprile, non arriva dal nulla ma è il frutto di un lungo lavoro di indagine conoscitiva durato un anno e mezzo, che ha coinvolto accademici, esperti e rappresentanti istituzionali, e costituisce una sintesi tra diverse proposte precedenti, in particolare quelle avanzate dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle. Un fatto che da solo evidenzia un’importante novità: un tentativo di superare la logica delle contrapposizioni ideologiche in nome di una convergenza su una questione di trasparenza e legalità che dovrebbe stare a cuore in egual misura a tutte le forze politiche.
A creare il contesto favorevole a questa iniziativa ha contribuito anche la restrizione dell’ambito di applicazione del reato di traffico di influenze illecite, introdotto nel 2012 con la legge Severino, ma rivelatosi col tempo una norma troppo vaga e applicabile in modo arbitrario, al punto da criminalizzare in alcuni casi anche semplici contatti telefonici. Ora che quella norma è stata rivista dalla legge Nordio dell’agosto scorso, si apre uno spazio legislativo per intervenire seriamente sul tema della rappresentanza degli interessi, evitando di equiparare ogni attività di lobbying a un tentativo di corruzione.
Il cuore della proposta è l’istituzione di un Registro pubblico per la trasparenza dell’attività di rappresentanza di interessi, che - ed è questo l’aspetto discutibile del testo in discussione in Parlamento - sarà gestito dal CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, organo pletorico che tanto costa alla collettività e che ora viene addirittura rilanciato nonostante la costante dimostrazione della sua inutilità.
Stando a questa proposta di legge, chiunque svolga attività di lobbying dovrà obbligatoriamente iscriversi al registro e aggiornare con cadenza settimanale le informazioni sugli incontri avuti con rappresentanti delle istituzioni: data, luogo, partecipanti e argomento discusso. Sono previste alcune esclusioni: non potranno iscriversi al registro i membri in carica del Parlamento e del governo (e nemmeno per l’anno successivo alla fine del loro mandato), i dirigenti di partito, i condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione, gli iscritti all’Ordine dei giornalisti e i dirigenti della pubblica amministrazione.
In parallelo, sarà istituito un Comitato di Sorveglianza con poteri ispettivi e sanzionatori. Il comitato sarà composto da nove membri: tre scelti direttamente dal presidente del CNEL, mentre gli altri sei saranno sorteggiati da un elenco di esperti selezionati in egual numero tra professori universitari di discipline giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di esercizio della professione. Il comitato potrà imporre sanzioni che vanno da multe pecuniarie a sospensioni temporanee fino alla cancellazione dal registro e al divieto di reiscrizione per un anno. Entro quattro mesi dalla sua istituzione, questo organismo dovrà anche redigere un codice deontologico vincolante, che definisca criteri etici e comportamentali per chi opera nel settore. Il modello cui si guarda non è solo quello europeo – dove già esiste un registro simile, che però è finito sotto i riflettori in negativo dopo gli scandali come il “Qatargate” – ma anche quelli di altri Paesi occidentali dove la figura del lobbista è riconosciuta, regolamentata e inserita a pieno titolo nel processo democratico.
In Italia, invece, la situazione attuale è quanto mai frammentaria: mentre la Camera dei deputati dispone di un registro dal 2016, seppur con controlli pressoché inesistenti, il Senato non ha mai adottato uno strumento analogo, e tra i ministeri solo cinque su quindici – tra cui quelli delle Imprese, dell’Agricoltura e dell’Università – hanno adottato forme di tracciabilità per le attività di lobbying. La nuova proposta, articolata in dodici articoli, mira a colmare questo vuoto e a uniformare le prassi.
Non è la prima volta che un simile tentativo approda in Parlamento: nel 2013 il governo Letta aveva esaminato preliminarmente una bozza di legge sul tema, che però non superò la fase iniziale. Nella passata legislatura, invece, la Camera aveva approvato un testo nato dall’unificazione delle proposte di Madia (PD), Silvestri (M5S) e Fregolent (Italia Viva), ma anche in quel caso il percorso si arenò al Senato per via della fine anticipata della legislatura. Questa volta, la speranza è che si possa andare fino in fondo. Il fatto che la proposta venga da un esponente del centrodestra ma incorpori contributi significativi di partiti storicamente avversari suggerisce una maturazione politica e istituzionale, forse alimentata anche dalla crescente consapevolezza della necessità di rendere trasparente un settore che, per sua natura, opera nelle zone grigie del rapporto tra potere economico e decisioni pubbliche.
In definitiva, si tratta di riconoscere che l’attività di rappresentanza degli interessi non è un’anomalia da reprimere ma una funzione legittima in ogni democrazia avanzata, a patto che sia disciplinata da norme chiare e da un sistema di controlli efficace. Il percorso parlamentare è ancora lungo: il testo dovrà essere approvato da entrambe le Camere nello stesso identico contenuto e, come sempre, molto dipenderà non solo dai rapporti di forza tra i gruppi parlamentari e dalla reale volontà politica ma anche dalla capacità del legislatore di tenere alta l’attenzione su un tema che, a dispetto della sua importanza, rischia sempre di essere sacrificato in nome di emergenze più visibili. Ma se davvero il Parlamento riuscirà a trasformare questa proposta in legge, si potrà finalmente voltare pagina rispetto a un passato di improvvisazione e opacità, e restituire dignità e regole a un’attività che, se ben regolamentata, può rappresentare una risorsa e non un problema per la qualità della democrazia.