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FALSI MITI

Reddito di cittadinanza? Non è da cristiani

Una forma di qualche contributo statale alle persone in difficoltà economiche si fonda sul rapporto diretto Stato-cittadino, che scavalca l'intera società civile. È figlio di una concezione assolutistica dello Stato, perciò è contrario alla Dottrina sociale della Chiesa.

Editoriali 12_03_2018

L’espressione “reddito di cittadinanza” non c’era nel programma del Movimento 5 Stelle. In esso si parlava del problema all’interno della riforma del collocamento. Tuttavia, come si è appreso, dopo le elezioni molti cittadini si sono recati ai CAF chiedendo i (fantomatici) moduli per la richiesta del reddito di cittadinanza. Non è certo cosa i 5 Stelle intendessero con questa espressione, sono invece certe due cose: che molti elettori l’hanno recepita nel significato di un qualche “sussidio” che lo Stato avrebbe concesso e che i Grillini in campagna elettorale non hanno fatto molto per spiegare che così non era, anzi.

Per capire la questione può essere utile considerare cosa pensi la Dottrina sociale della Chiesa del reddito di cittadinanza. So bene che questo provvedimento può essere articolato in molti modi, ma in attesa di conoscere come sarà articolato (e se sarà articolato) nel caso italiano, vale la pena considerarlo in generale, come intervento economico dello Stato a sostenere direttamente con qualche forma di contributo fasce di cittadini in difficoltà per la crisi economica.

Il reddito di cittadinanza, come risulta anche dall’espressione, si fonda sul rapporto tra lo Stato da un lato e i cittadini dall’altro. Questa concezione ha origini lontane ma è anche tipica della mentalità del Movimento 5 Stelle, nella cui cultura di riferimento non esiste il concetto né di società naturali né di corpi intermedi. E’ la concezione derivata dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese con cui, come si sa, la Dottrina sociale della Chiesa non va molto d’accordo. Il rapporto tra Stato e cittadini così inteso è come un rapporto tra due privati e a questo rapporto tra due privati si dà il nome di “interesse pubblico” che però non ha nulla a che fare con il vero bene comune. Infatti il reddito di cittadinanza si fonda su una sovranità dello Stato che dall’alto della sua assolutezza eroga contributi per singoli cittadini isolati e anonimi, scavalcando l’intera società civile.

Siamo quindi sempre all’interno della concezione moderna dello Stato accentrato ed assoluto, che nella forma di questi interventi di “provvidenza” continua a conservare la propria immagine di un “Dio in terra”. Si tratterebbe di una forma di Stato assistenziale (Welfare State) come ultima immagine secolarizzata del Leviatano: lo Stato come Dio, uomo, animale e macchina nello stesso tempo.

La Dottrina sociale della Chiesa non ha mai accettato questa visione delle cose, perché ritiene, più realisticamente, che l’uomo, prima di essere cittadino (o prima di essere borghese o proletario) sia uomo e, quindi, che viva originariamente dentro una società naturale come la famiglia e dentro le aggregazioni della società civile, di carattere locale o elettivo, a cui spetta per prime il diritto/dovere della solidarietà.

Il reddito di cittadinanza confligge quindi con il principio ordinativo della sussidiarietà, fondamentale per la Dottrina sociale della Chiesa. Lo Stato non deve intervenire direttamente nei confronti di cittadini astratti ridotti ad unità numeriche o a codici su uno stampato, ma deve semmai far sì che ad agire siano i soggetti naturali e civici più vicini alla persona. Purtroppo succede invece che il Movimento 5 Stelle abbia un programma distruttivo della famiglia naturale senza affidarle quindi nessun compito di ammortizzatore sociale e di prima solidarietà rispetto per esempio alla disoccupazione, e poi faccia intervenire lo Stato con interventi di sussidio dati a cittadini intesi nella concezione rousseauiana di monadi o di unità numeriche. In questo modo il cittadino in difficoltà viene attaccato alla “flebo” dello Stato, lo si fa dipendere dall’apparato, dalle concessioni e non gli si permette di rimettersi in moto. Privata dei legami con la società naturale della famiglia e con i corpi intermedi, la persona finisce per perdere anche la propria libertà e diventare oggetto di erogazioni dall’alto che verranno fatte comunque pagare in altro modo agli interessati.

Già oggi, come sempre del resto, il primo soggetto impegnato nell’ammortizzare i costi sociali della disoccupazione è la famiglia e i gruppi di famiglie. Allora i soldi del reddito di cittadinanza vengano utilizzati per sgravare le famiglie con figli e metterle in grado di esercitare questa loro solidarietà diretta. Quelle risorse vengano destinate a favorire forme di start-up professionali per giovani come lotta alla disoccupazione non sussidiata ma sussidiaria. Si sa che nonostante la riforma del collocamento, le assunzioni non passano per gli uffici a ciò preposti. La cosa vera da fare è favorire la ripresa economica detassando le imprese.

Oggi molti chiedono che lo Stato diventi “minimo”, volendo in realtà che diventi “debole” anche se poi in realtà rimane “grasso”. La Dottrina sociale della Chiesa vuole che lo Stato stia al suo posto e non sia sempre e in tutto soggetto diretto, ma diventi soggetto indiretto, che lascia fare prima di fare e che permetta alle società più vicine alla persona di esprimere i propri compiti naturali. L’assistenzialismo di principio del reddito di cittadinanza non rientra in questa visione.