Rapporto sull'Europa: la guerra causata dal relativismo
Presentato oggi a Roma, il Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, “Europa: la fine delle illusioni”, spiega la crisi immigratoria, quella delle nascite, la creazione di una cultura europea omologante, la visione tecnocratica delle cose a servizio dell’ideologia del relativismo etico prodotte dall'ideologia della Ue.
Ogni anno il Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân giunge con qualche interpretazione fuori dal coro. Fuori anche dal coro cattolico di maniera.
L’anno scorso l’ottavo Rapporto aveva parlato dei migranti come (quasi) nessuno ne parla in ambito ecclesiale, vale a dire come un fenomeno rischioso da gestire con decisione. Ora esce il nono Rapporto sull’Europa ed anche in questo caso la visione non è politicamente corretta, come già il titolo lascia intendere “Europa: la fine delle illusioni”.
Tra parentesi: il Rapporto verrà presentato oggi a Roma, presso la Radio Vaticana, alle ore 17,00 alla presenza del cardinale Angelo Bagnasco, dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, Carlo Costalli, Lorenzo Ornaghi, Alfredo Mantovano in un incontro coordinato da Andrea Galli.
Carl Schmitt ed Ernst Nolte hanno sostenuto che l’Europa è sempre stata terra di guerre civili, a cominciare dalla Rivoluzione francese o forse anche prima, dalla Riforma protestante. Difficile dare loro torto. La ghigliottina o la Vandea non lo sono state? La prima guerra mondiale fu in larga misura guerra civile, come del resto i conflitti interni alla Germania di Weimar. Anche la seconda guerra mondiale fu pure guerra civile: i pogrom antiebraici o la Russia bianca e rossa della rivoluzione bolscevica lo testimoniano. Quella tra Bolscevismo e Nazismo fu guerra civile, oltre che guerra tra Stati, combattuta nelle strade e nelle case. Anche l’Italia, dopo il 25 luglio, conobbe in diverse forme la guerra civile. Ora, la guerra civile moderna nasce dallo “Stato ideologico”.
L’Europa ha conosciuto la guerra civile perché ha conosciuto lo Stato ideologico, quello che non conosce altra verità che se stesso. Contro questo Stato ideologico – evidenziatosi drammaticamente nei totalitarismi moderni – erano stati firmati i Trattati di Roma ed era iniziato il processo di integrazione europea. Ma ecco il punto su cui il Rapporto fa riflettere: L’Unione Europea, nata dopo la guerra per liberarci dallo Stato ideologico è poi diventata essa stessa uno Stato ideologico? Il Rapporto sa bene che l’Unione non è uno Stato, ma dello Stato ideologico può aver preso le sembianze, le convinzioni e la struttura.
C’è ancora una guerra civile in Europa? La domanda sembra sciocca, ma non lo è. A metà anni Novanta abbiamo avuto una vera e propria guerra civile nei Balcani. I confini dell’Europa sono impregnati di guerre civili. Dentro i suoi confini non si può parlare di guerra civile nel senso stretto della parola, però i segni ci sono: dalle banlieue infiammate alla balcanizzazione sociale a seguito di una’immigrazione non governata. Ma c’è anche di più. Lo Stato ideologico si fa guidare dalla “presunzione di colpevolezza”: gli “accaparratori” per Robespierre, gli ebrei per i Nazisti, i borghesi per i Bolscevichi erano colpevoli per definizione. In Europa i nuovi colpevoli per definizione sono i bambini uccisi prima che nascano in ottemperanza delle leggi abortiste.
In tutto questo l’Unione Europea gioca un ruolo decisivo. Nel Rapporto dell’Osservatorio, il prof. Gianfranco Battisti spiega bene perché l’Unione non si è rifatta al modello, unitario e sapientemente articolato, degli imperi, ma ha piuttosto seguito le orme dello Stato moderno accentrato ed assoluto. Alfredo Mantovano per spiegare come l’attuale Unione Europa tenda ad essere uno “Stato ideologico” rilegge il Manifesto di Ventotene. Si dice spesso, infatti, che bisognerebbe tornare allo spirito delle origini, lasciando intendere che le deviazioni sono state successive. Ed invece i germi dello Stato ideologico c’erano fin dall’inizio. I “profeti” di Ventotene pensavano all’unificazione europea come un processo “rivoluzionario”, “socialista”, condotto da una avanguardia di professionisti capaci di cogliere il senso della storia. Una visione che potremmo chiamare bolscevica o leninista, anche se apparentemente democratica, del processo di integrazione europea. Di ciò scontiamo ancora i danni.
Il Rapporto dell’Osservatorio produce un lungo elenco di aspetti ideologici dell’Unione Europea: l’ingerenza sistematica nelle faccende interne agli Stati membri su temici etici, l’esclusione di Dio dalla sfera pubblica, una visione indifferente e qualunquista delle religioni, la dipendenza dei politici dai burocrati, l’esistenza di una corporazione di funzionari non eletti che condividono lo stesso pensiero unico, la mancata applicazione del principio di sussidiarietà previsto dal trattato di Maastricht (che però già lo intendeva malamente ossia in senso solo funzionale), la creazione di una cultura europea omologante e soffocante le culture delle nazioni, la visione tecnocratica delle cose a servizio dell’ideologia del relativismo etico.
Le illusioni sono però finite. L’idea degli Stati Uniti d’Europa non si differenzia da questo quadro ma sarebbe solo un suo aggiornamento. Paradossalmente coloro che oggi possono lavorare a favore dell’Europa sono quelli che criticano l’Unione Europea e chiamarli, senza distinzione, “populisti” aiuta forse la causa dell’Unione ma non quella dell’Europa.