Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LA CARRIERA

"Raggiri" e coperture: così Rupnik è diventato "artistar"

La folgorante carriera artistico-ecclesiale di Rupnik: mandato a Roma dopo aver già coinvolto diverse donne nei suoi giochi erotici. Una volta a Roma ha spiccato il volo: la consacrazione con la cappella Redemptoris Mater e il "raggiro" all'artista incaricato. E poi la discussa realizzazione del Seminario Maggiore romano con la dedicazione dell'altare quando era già stato condannato. 

Ecclesia 24_12_2022

«Risulta evidente l’importanza rivestita dal nuovo Centro per il Pontificio Istituto Orientale. Ci apre orizzonti ancora più vasti e rende realizzabili un numero di progetti, che finora potevano essere considerati solo dei sogni. Il Direttore del Centro è, ex officio, il Rettore del PIO. Ma il Vice-Direttore, e il vero cervello del nuovo centro, è P. Marko Rupnik, nuovo professore di spiritualità del PIO. […] Come collaboratrici al Centro Aletti siamo molto fortunati di avere tre sorelle della Comunità Loyola». Correva l’anno 1992, e il 15 ottobre Padre Clarence Gallagher, S.J. (+ 2013), pronunciava queste parole nel discorso inaugurale delle celebrazioni giubilari per i 75 anni di fondazione del Pontificio Istituto Orientale e del nuovo anno accademico.

Il Centro Aletti nasceva in quell’anno come costola del PIO, con sede in un palazzo in Via Paolina, a Roma, donato alla Compagnia di Gesù dalla dott.ssa Anna Maria Gruenhut Bartoletti, per commemorare il defunto marito Ezio Aletti. Il Centro Aletti era stato pensato come circolo culturale che intrattenesse rapporti con personalità di alto spicco del mondo cristiano ortodosso. Verso la fine degli anni Novanta, un litigio con il PIO (qualche notizia era già trapelata?) portava il Centro Aletti a divenire del tutto autonomo e poneva fine all’attività di docenza di Padre Rupnik; con l’autonomia del Centro Aletti, Rupnik diveniva superiore della comunità. Sempre in questi anni, le sorelle della Comunità Loyola, fondata agli inizi degli anni ‘80, presenti al Centro Aletti davano origine ad un piccolo “scisma”: un gruppo tornava in Slovenia, mentre altre rimanevano a Roma per formare una comunità autonoma di donne consacrate, sotto la guida di P. Rupnik. Tra queste consacrate risultava anche Maria Campatelli, l’attuale direttrice del Centro.

E’ importante ricordare che i casi di rapporti a sfondo sessuale con suore della Comunità Loyola in Slovenia, confermati nella seconda indagine, quella caduta in prescrizione, risalgono agli anni 1992-1993. P. Rupnik veniva dunque mandato a Roma dopo aver già coinvolto diverse donne nei suoi giochi erotici e qui decisamente spiccava il volo: direttore di fatto del Centro, professore al PIO, e poi la “consacrazione” come artista. Non è chiaro perché i superiori lo abbiamo trasferito: forse per liberare la provincia slovena da una presenza divenuta scomoda?

Nel 1996 iniziarono i lavori di rifacimento della Cappella Matilde, nel Palazzo Apostolico (rinominata Cappella Redemptoris Mater, in occasione dell’Anno Mariano 1987-1988), dono del Collegio cardinalizio per il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Giovanni Paolo II. I lavori furono affidati, con intento ecumenico e grazie alla mediazione di Padre Tomas Spidlik, al mosaicista russo Alexander D. Kornoukhov, il quale realizzò un capolavoro sulla parete retrostante il presbiterio (vedi qui). Ma il lavoro di Kornoukhov si interruppe con quella parete; le altre tre restanti vennero affidate a Padre Rupnik. Una nostra fonte riferisce di un probabile "raggiro" di Spidlik da parte di Rupnik; il fatto è che un artista del calibro di Kornoukhov venne silurato per dare spazio all’ “astro nascente”. Le tre pareti della Cappella Redemptoris Mater, conclusa nel 1999, furono la prima delle numerose realizzazioni a mosaico del gesuita sloveno. Tra le più note, la chiesa inferiore di San Pio da Pietralcina a San Giovanni Rotondo, che accoglie il corpo del Santo del Gargano.

E poi la realizzazione più discussa, e non solo dal punto di vista artistico, ossia la Cappella del Seminario Maggiore romano. Una colata di rosso (vedi qui), che fa sparire il quadro della Madonna della Fiducia, in teoria la protagonista principale. L’appalto per la realizzazione degli affreschi della Cappella è stato affidato a Rupnik, e i i lavori sono stati compiuti lo scorso anno, con dedicazione del nuovo altare avvenuta il 1° dicembre 2021 da parte del Cardinale De Donatis, cioè quando il gesuita era già stato condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento, e l’Ordine dei Gesuiti aveva già emesso l’ordine di “restrizioni cautelative” nei suoi confronti. Romasette riferiva di «un’iniziativa fortemente voluta dal cardinale vicario Angelo De Donatis, resa possibile grazie al sostegno economico di un benefattore deceduto di recente e affidato a padre Marko Ivan Rupnik, gesuita e fondatore del Centro Aletti. Il progetto è stato sottoposto a Papa Francesco, che lo ha approvato».

Il Papa e il suo Vicario sembravano dunque più che entusiasti di affidare al gesuita, all’epoca già condannato e nuovamente sotto inchiesta per colpe gravissime, la Cappella del Seminario del Laterano. Come se non bastasse, si può vedere qui un Padre Rupnik che, a dicembre dello scorso anno, spiega tranquillamente ai seminaristi del Seminario Maggiore la sua opera.

Il 2021 è stato anche l’anno dell’incarico a Mons. Libanori di indagare sugli abusi nella Comunità Loyola, indagine che ha portato alla raccolta della testimonianza di nove donne, ritenute credibili dalla Congregazione già a giugno di quello stesso anno. Dunque, nel 2021, il Vicario generale della Diocesi di Roma, nonché Gran Cancelliere della Pontificia Università Lateranense, affidava l’incarico della Cappella a Rupnik, mentre un Vescovo ausiliare di Roma, Mons. Daniele Libanori aveva già raccolto nuove accuse credibili contro Padre Rupnik (sullo scontro De Donatis-Libanori, abbiamo riferito qui). Ciliegina sulla torta: una nostra fonte ci rivela che la Cappella sarebbe costata molto più di quanto preventivato, fino a raggiungere la cifra da capogiro di un milione e 700 mila euro.

La storia di Padre Rupnik rivela sempre più una vergognosa rete di coperture e complicità. Per la serie di abusi commessi avvalendosi della propria autorità spirituale e della potestà sacerdotale, il gesuita dovrebbe essere immediatamente ridotto allo stato laicale; e invece lo troviamo protetto dai Superiori del suo Ordine, dal Cardinale Vicario di Roma, probabilmente dal Papa, che avrebbe deciso la remissione istantanea della scomunica, e dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha scelto di far cadere la serie di reati in prescrizione. Infatti, nonostante la prescrizione sia stata presentata come un atto automatico di fronte al quale non si può far nulla, le cose non stanno così.

Nel Vademecum della Congregazione sulla procedura per il trattamento dei casi di abuso sessuale su minori, al § 28 si precisa che spetta alla Congregazione «il giudizio sul mantenimento della prescrizione o sulla deroga ad essa». E’ vero che in questione non c’è l’abuso su minori; tuttavia, al §5 si fa presente che «al minore vanno equiparate le persone che hanno abitualmente un uso imperfetto della ragione», e si precisa ulteriormente che “adulto vulnerabile” è da considerarsi «ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa».

Non si comprende perché delle giovani donne, soggiogate dalla personalità di P. Rupnik piuttosto che intimorite dalle sue minacce, non possano rientrare in questa categoria. Non si sta ripetendo da anni che rimanere legati alla lettera della legge è una forma di fariseismo formalista? Forse che gli atti compiuti da Rupnik non sono particolarmente gravi da meritare di non essere “archiviati” per un mero fattore temporale? La verità è piuttosto evidente: la caduta in prescrizione è stata una precisa scelta politica, un’ennesima volontà di coprire e scagionare il gesuita sloveno.