Ragazze rapite e violentate, il silenzio di Chiesa e UE
Dopo il caso di Huma, il Pakistan può continuare tranquillamente a perseguitare i cristiani, a favorire il rapimento e lo stupro delle ragazze cristiane, a uccidere chi chiede di non essere discriminato come cittadino di serie B. In Europa e in Italia può contare su molti complici.
Ogni anno oltre mille sono le ragazze – cristiane e indù – che vengono rapite, violentate, convertite forzatamente all’islam e costrette a sposarsi un adulto musulmano. Una vera e propria barbarie che si compie con la chiara complicità delle autorità. Se qualcuno avesse dei dubbi, si vada a rivedere cosa è successo lunedì 3 febbraio, quando l’Alta Corte del Sindh ha deciso che il matrimonio di una 14enne cristiana con un musulmano – malgrado rapimento, violenza e tutto il resto – è valido. Era il primo caso del genere che – grazie ad Aiuto alla Chiesa che soffre - arrivava in tribunale, e i giudici in Pakistan hanno dimostrato di decidere in base alla sharìa e non alla legge formale che pure vieta il matrimonio con minorenni.
È una barbarie, uno scandalo enorme, una vergogna. Ma in Occidente la notizia ha fatto fatica a guadagnarsi qualche riga. Quanto alla Chiesa, non c’è dubbio che la brutta notizia arrivata dal Pakistan disturba il clima di pace universale che si respira dalle parti del Vaticano. Nelle edizioni del 4 e del 5 febbraio – quelle che potevano e dovevano raccogliere la notizia di Huma - l’Osservatore Romano apriva trionfante la prima pagina con questo titolo: “Una nuova pagina nel dialogo fra le religioni”, con la foto dell’abbraccio fra papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb.
Eh sì, Huma ha avuto anche la sfortuna di una sentenza dell’Alta Corte uscita in coincidenza con l’anniversario della Dichiarazione di Abu Dhabi, il manifesto della “fraternità umana”, di cui Stefano Fontana ha già esaminato le incongruenze e le gravi conseguenze.
E di fronte a questo clima da “pace universale”, cosa vuoi che siano qualche migliaio di ragazzine cristiane rapite, violentate, convertite a forza e a forza sposate? Nulla, e infatti l’Osservatore Romano non ne ha neanche parlato. Ecco, anche questa è una conseguenza della Dichiarazione di Abu Dhabi: perdersi in una apparenza idilliaca mettendo a tacere la realtà di una persecuzione anticristiana, in gran parte provocata dai regimi islamici. Chi vorrà raccogliere il grido di questi nostri fratelli – “Non sapete che siete membra l’uno dell’altro?”, avverte san Paolo – rischiando di rovinare questa bella fratellanza universale?
Stesso discorso vale per politici e governanti. Sarebbe tutto sommato semplice mettere il Pakistan davanti alle proprie responsabilità: basterebbe minacciare di sospendere gli aiuti allo sviluppo o il sistema tariffario agevolato grazie al quale Islamabad può commerciare con l’Europa a condizioni di favore. In fondo il rispetto dei diritti umani è la condizione per accedere a questi aiuti. Ma evidentemente anche questa è una forma di ipocrisia, in realtà dei diritti umani non importa nulla a nessuno, le uniche cause che fanno fremere l’Europa sono i diritti gay e l’aborto. E dove sono quei politici che urlano a difesa dei simboli cristiani, ma non fanno un solo gesto concreto per difendere i princìpi sociali fondamentali, eredità di una visione cristiana? Nessuno che si faccia sentire, nessuno che prenda un’iniziativa politica concreta.
Il Pakistan può continuare tranquillamente a perseguitare i cristiani, a favorire il rapimento e lo stupro delle ragazze cristiane, a uccidere chi chiede di non essere discriminato come cittadino di serie B. In Europa e in Italia può contare su molti complici.