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L'ANNIVERSARIO

Abu Dhabi, un anno fa. L'equivoco sulle religioni resta

A un anno dalla firma della Dichiarazione di Abu Dhabi restano i due equivoci di fondo: la volontà di Dio del pluralismo religioso e la collaborazione tra le religioni per la pace. Ma il punto è proprio questo: dalla visione che le religioni hanno del volto di Dio derivano poi le altre visioni sulla persona, la famiglia, la donna, la legge, la libertà. E la pace. 

Editoriali 04_02_2020 English Español

Un anno fa, il 4 febbraio 2019, è stata firmata la cosiddetta (e ormai famosa) Dichiarazione di Abu Dhabi sulla “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. Essa porta le firme di Sua Santità Papa Francesco  e del Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, firme apposte in calce al documento al termine dell’incontro inter-religioso al Founder’s Memorial di Abu Dhabi durante il viaggio apostolico di papa Francesco negli Emirati Arabi dal 3 al 5 febbraio 2019. In seguito e in continuità con questa firma è nato il Comitato per il Documento sulla Fratellanza, nello scorso dicembre è stato consegnato da parte cattolica e musulmana al Segretario generale dell’ONU la proposta per dichiarare il 4 febbraio Giornata Mondiale della fratellanza umana, e per il 14 maggio 2020 si terrà in Vaticano un evento mondiale voluto da papa Francesco sul tema “Ricostruire il patto educativo globale” che educhi alla “solidarietà universale” e a un “nuovo umanesimo”.

La firma di Abu Dhabi e il programma che ne segue ha entusiasmato molti e profondamente preoccupato altri. Il testo del documento presentava infatti due punti molto problematici, sia dal punto di vista dottrinale che pastorale. Il primo era l’affermazione secondo cui “il pluralismo e la diversità delle religioni, il colore, il sesso, la razza e il linguaggio sono voluti da Dio nella sua saggezza”. Precisazioni successive secondo cui la volontà di Dio in questo caso andava intesa come “permissiva” non sono state sufficienti a ricucire lo strappo dottrinale. Se Dio vuole le varie religioni allora anche esse sono indispensabili per la salvezza, Cristo non è più l’unico Salvatore e non vanno evangelizzate.

Il secondo riguarda proprio la collaborazione tra le religioni per la pace e la convivenza comune. La Chiesa cattolica può certamente proporre una fratellanza tra tutti gli uomini e una convivenza comune, fondandole o sul diritto naturale o sulla verità di Cristo. Sul piano naturale siamo tutti persone umane e nella nostra natura conserviamo una legge morale che guida la nostra vita comunitaria. Far leva su questa unità naturale del genere umano è cosa positiva, anche se il cristiano sa che non è sufficiente, perché la natura senza la grazia finisce per deteriorarsi anche come natura. Ma fondare la collaborazione per l’unità e la convivenza comune sulle religioni è molto problematico sia perché non tutte le religioni rispettano il diritto naturale, per intero o in parte, e sia perché, come ovvio, non tutte le religioni accettano Cristo e la purificazione del diritto naturale da Lui realizzata. La bussola della Chiesa cattolica quando parla di pace e convivenza umana è duplice: il diritto naturale frutto della creazione e conosciuto dalla retta ragione; e la salvezza portata da Cristo. Nel documento di Abu Dhabi non è presente né l’una né l’altra: sul diritto naturale cattolici e musulmani la pensano molto diversamente e su Cristo ancora di più.

Nel documento di Abu Dhabi è presente, da parte cattolica, un equivoco: ritenere che sia possibile intendersi con tutte le altre religioni, se non sugli aspetti dottrinali, almeno su quelli pratici, come appunto la pace, la tolleranza, la libertà religiosa, il rispetto della dignità della donna, la tutela delle minoranze e così via. Una simile pretesa non ha però fondamento, perché le questioni dottrinali non sono solo dottrinali e non se ne stanno in un loro empireo astratto e disincarnato, privo di una coerenza con le questioni pratiche. Dalla visione che le religioni hanno del volto di Dio derivano poi le altre visioni sulla persona, la famiglia, la donna, la legge, la libertà, la politica, l’autorità, il bene comune … che trovano nelle varie religioni una impostazione anche molto diversa.  Per esempio, su tutti i temi ora elencati la visione cattolica e quella musulmana divergono non poco. È strano sostenere l’unicità salvifica di Cristo, l’unicità della chiamata alla salvezza, la necessità di una coerenza di vita del cattolico tra i contenuti della fede professata e i suoi comportamenti … e nel contempo sostenere una possibile convergenza mondiale con tutte le religioni. Se la Chiesa non vuole proporre una convergenza sul cristianesimo, proponga una convergenza sul diritto naturale, sapendo però fin da subito che non tutte le religioni potranno aderire.

Queste osservazioni ci fanno comprendere che il timore di un percorso verso un generico umanesimo universalistico post-religioso non è infondato. Il “patto educativo” e il “nuovo umanesimo” su cosa si fonderanno se non si fonderanno né sul diritto naturale né su Gesù Cristo? Per educare servono dei fini, e quali saranno questi fini se non sono quelli del diritto di natura né quelli di Gesù Cristo? Come impedire che la nuova convivenza umana sia alla fine fondata su un minimo comun denominatore al ribasso, nato da un confronto che per forza deve eliminare le asperità delle diverse identità, per costruire un artificiale decalogo da imporre poi a livello planetario da parte dei poteri che hanno la forza per farlo?