Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina d’Alessandria a cura di Ermes Dovico
LETTURE PER L’ESTATE/7

Quello che dobbiamo scoprire sulle storie d’amore

L’amore, in tutte le sue sfaccettature, non solo in chiave sentimentale, è il fulcro dei cinque libri fin qui pubblicati da Alessandro D’Avenia. Nei suoi romanzi si avvertono echi classici ed emerge la speranza che l’amore, autenticamente fondato sul sacrificio, è sempre possibile per ciascuno di noi

Cultura 09_08_2020

Sono libri che non hanno scadenza, sempre freschi e attuali (perché parlano al cuore), quelli di Alessandro d’Avenia, insegnante e scrittore che ha pubblicato in un decennio cinque opere (Bianca come il latte rossa come il sangue, Cose che nessuno sa, Ciò che inferno non è, L’arte di essere fragili, Ogni storia è una storia d’amore), fulcro delle quali è l’amore, in tutte le sue sfaccettature, non solo in chiave sentimentale di coppia.

L’amore sta al centro di Cose che nessuno sa. L’amore di chi crede ancora nell’altro, nella famiglia e nei figli. L’amore di chi, invece, per fragilità o per egoismo non sa assumersi la propria responsabilità. L’amore di chi ha scelto, ma per stanchezza e delusione se ne va. L’amore di chi s’inoltra per la prima volta alla scoperta di questo sentimento.

Protagonista è Margherita, quattordicenne che vive l’avventura affascinante, ma, al contempo, piena di trepidazione del primo anno di liceo. Il suo nome significa «perla».

Nessuna perla è uguale all’altra. Nessuna perla è mai perfettamente simmetrica. E nelle cose di questo mondo è meglio tenersi lontani dalla perfezione: la luna quando è piena comincia a calare, la frutta quando è matura cade, il cuore quando è felice già teme di perdere quella gioia, l’amore quando raggiunge l’estasi è già passato. Solo le mancanze assicurano la bellezza, solo l’imperfezione aspira all’eternità. La perla se ne sta lì con quella sua irraggiungibile imperfezione, nata dal dolore. E dall’amore che lo abbraccia (D'Avenia).

Tante storie s’intrecciano. Sono storie di ragazzi e di adulti, di famiglie divise o unite. Storie che molti ragazzi di oggi vivono, sopportando dolore e sofferenza che i genitori spesso neanche immaginano.

Margherita parte alla ricerca del padre che ha lasciato soli la madre e i figli, proprio come Telemaco è partito per ritrovare Ulisse nell’Odissea. Per imparare ad amare bisogna apprendere l’arte del perdono e della riconciliazione, la capacità e la volontà di recuperare, di soffrire e di ripartire, insieme. In questo modo, il padre di Margherita saprà riconciliarsi con la moglie, mentre il suo insegnante di Italiano, tanto avvincente nell’insegnamento quanto incapace ad amare nella pratica, potrà accettare la sfida dell’impegno e della responsabilità con la sua Stella. Margherita incontrerà Giulio, un bellissimo ragazzo che, abbandonato dai genitori, non ha conosciuto nell’infanzia un vero abbraccio affettuoso.

È un romanzo ricco di umanità, di tenerezza e di speranza: la speranza che l’amore è sempre possibile per ciascuno di noi; la speranza che c’è un destino buono pensato per tutti.

In Ogni storia è una storia d’amore D’Avenia attinge alla materia della vita reale, al mondo dell’arte e della poesia ripercorrendo trentasei vicende le cui protagoniste sono donne che amano e che si sacrificano, tante donne che hanno accompagnato per anni noti artisti, sono state la loro ispirazione, sono state magari anche loro artiste: da Tess a Sylvia, da Zelda a Joy, da Karen a Constance, da Regine a Fanny che fece innamorare di sé Leopardi.

Le storie d’amore tra gli artisti e le loro donne sono […] tormentate, seducenti, tenere, folli, feconde, distruttive, devote, ancillari, cruente, giocose, eterne… e tutta la tavola periodica di possibilità che l’amore e il disamore offrono, soprattutto perché si tratta di un triangolo, nel quale la donna, in carne e ossa, vuole conquistare un territorio già occupato dalla Musa (D’Avenia).

D’Avenia incastona queste storie in una cornice più ampia costituita dalle tappe principali del mito di Orfeo ed Euridice nella versione ovidiana delle Metamorfosi, mito che «racconta il paradosso della vita, così assetata di felicità e così incerta nei mezzi che ha per raggiungerla». Ma «la nostra costitutiva fragilità non è una condanna, ma, attraverso l’amore, una possibilità di salvezza. Solo se si è amati e si ama si dà alla propria fragilità una destinazione». Proprio per questa ragione «ogni storia è una storia d’amore: esistere è coesistere» (D’Avenia).

In Ogni storia è una storia d’amore si sente forte la suggestione anche di un altro capolavoro di Ovidio, le Heroides. Alla lettura del testo di D’Avenia si ha perfino la percezione di trovarsi di fronte a delle Heroides in versione moderna. Il poeta latino riprendeva le grandi eroine dell’antichità e le metteva in scena, donava loro la parola o, meglio, la penna. S’immaginava che loro esprimessero le loro ragioni o si discolpassero o ancora tentassero per un’ultima volta di trattenere gli uomini che amavano o di ricondurli a sé. Le grandi eroine del passato scrivevano, quindi, delle lettere agli amati.

Ovidio componeva così un’opera elegiaca al femminile, improntata al tema dell’assenza dell’amato, al tono nostalgico per un passato felice. Quindici lettere di donne dell’antichità aprono la raccolta cui seguono altre lettere indirizzate da personaggi famosi mitici alle loro donne accompagnate in questo caso dalle risposte. Era un esperimento artistico decisamente innovativo nel panorama letterario, perché rendeva protagonista la psicologia femminile, conferiva dignità letteraria alle lettere, metteva in luce la debolezza degli eroi, che risiede spesso proprio nel loro mancato esercizio della libertà. 

Nell’opera di D’Avenia la storia d’amore tra Scott Fitzgerald e Zelda è emblema della vicenda di Orfeo ed Euridice raccontata da Ovidio: un amore assoluto, estremo, totale, ma che consuma, un amore che, non crescendo, si tramuta presto in disamore e porta alla disperazione e alla morte i due amanti, scrittori protagonisti degli struggenti anni Venti, lui autore del Grande Gatsby (1925) e lei creatrice di Lasciami l’ultimo walzer (1932), opera nella quale l’affascinante donna raccontava le vicende matrimoniali destando così l’ira del marito che avrebbe voluto parlarne lui nel romanzo su cui lavorava da anni (Tenera è la notte). Tra rivalità e invidie il rapporto dei due sposi si incrinava sempre più portando entrambi all’insoddisfazione piuttosto che allo spirito di sacrificio.

Fitzgerald sarebbe finito vittima dell’alcool (1940) e pochi anni dopo Zelda sarebbe morta in un incendio scoppiato durante il ricovero in una clinica psichiatrica (1948). Una vita vissuta al massimo, secondo lo stile degli anni Venti, li aveva consumati. Zelda ne era stata presaga già anni prima: «Niente avrebbe potuto sopravvivere ad una vita come la nostra».

Com’è differente, invece, l’amore di Anna Magdalena per il marito Johann Sebastian Bach, il musicista che ha dato voce a Dio e che ha portato il Paradiso in terra con la sua musica celestiale. Lui nel giorno delle nozze diceva: «Ringrazio Dio di averti dato a me!»; lei che in preghiera chiedeva: «Oh Dio, fammi degna di lui!». Lungi dall’essere idolo dinanzi a cui prostrarsi e da distruggere con furia iconoclasta quando si rivela insufficiente a riempire l’abisso di vita dell’animo, la persona amata è compagno di viaggio nel cammino al destino, dono prezioso non da violare, ma da preservare.

Da una coppia all’altra della modernità, attraverso le tappe del mito di Orfeo ed Euridice, attingendo all’esperienza dell’amore vista in maniera limpida nei due genitori che a più di cinquant’anni dal matrimonio camminano mano nella mano, perché hanno imparato a donarsi reciprocamente le proprie differenze e «reciprocamente ad accettarle», D’Avenia giunge al disvelamento di quell’amore che ha vinto, perché si è purificato nel dolore e nelle sofferenze, nella malattia e nella paura di perdersi. Un amore che sa affrontare a questo punto anche la morte, perché ha scoperto il dono di sé totale.

La beatitudine passa attraverso l’amore che ha conosciuto la morte. […] I due [Orfeo ed Euridice] diventano pienamente vivi, cioè beati, passando attraverso il cambiamento radicale che l’amore impone con il suo accadere: imparare a essere anche morti, cioè darsi all’altro, costi quel che costi. È la metamorfosi più ordinaria e straordinaria di tutte, quella che rende l’uomo più uomo, la donna più donna […]. L’amore non è soltanto un’emozione, ma una forma del conoscere: riconoscere, […] la forma stessa del vivere: crescere. […] La tappa definitiva dell’amore è l’insemprarsi, entrare in una dimensione oltre lo spazio e il tempo e costruire un’eternità fatta non di una sovrabbondanza quantitativa delle cose che più desideriamo, ma della profondità qualitativa dell’amare e del sentirsi amati continuamente e sempre di più in ogni istante (D’Avenia).