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LA STORIA DI LAVAGNA

Quella mamma coraggio che ha zittito Saviano

Pur di raggiungere uno scopo politico come la legalizzazione della droga si censura il grido dei giovani. Come il caso di Lavagna, strumentalizzato da Saviano in chiave hashish free, ma smentito dalla madre del giovane suicida. Da sola e nel dolore ha impartito allo scrittore una vera lezione di dignità e di verità, accusando non la Polizia, ma gli stessi cantori della droga libera. 

Editoriali 16_02_2017
I funerali del giovane suicida

"E’ colpa della pubblica morale se il giovane sedicenne di Lavagna si è suicidato dopo essere stato scoperto con 10 milligrammi di hashish"; "I ragazzi non vanno stigmatizzati"; "La polizia non può entrare in casa di chi detiene droga in questo modo". Sembra impossibile ma sono queste le pagine di commento a un fatto di cronaca che urla il disagio di un ragazzino e che i giornali hanno avuto il coraggio di pubblicare, dando voce allo sponsor ufficiale della legalizzazione della cannabis, Roberto Saviano, per cui sarebbe lo “Stato paternalista” a generare “un numero incalcolabile di vittime (…) legalizziamo, ora. Legalizziamo”.

Così chi parla di una tragedia come questa, usandola cinicamente per scopi politici come la legge sulla cannabis legale e quindi riducendo le persone a strumenti di un disegno ideologico, di fatto non fa altro che giustificare non solo l’uso della droga ma anche il suicidio. Perché è ovvio che la risposta al problema dell’abuso di sostanze e della mancanza di senso non può essere la droga.

Sembrava il caso perfetto per Saviano & co: un ragazzino che ora non può più parlare, la grancassa mediatica che scarica le colpe sulla società e sullo Stato, in una vecchia e patetica riedizione di slogan ritriti anni '70. Era tutto pronto per fare di quel campioncino dell'Entella un manifesto post mortem, usato, strumentalizzato per scopi abietti.

Invece qualcuno ha guastato la scenografia perfetta facendo vedere le quinte. Un qualcuno che può a ragione dire come siano andate le cose tanto da ridurre le comari alla Saviano a timidi fringuelli. Lei, la madre di quel ragazzo ha parlato. E ha completamente smentito gli arzigogoli intellettuali dello scrittore campano. 

"Grazie per aver ascoltato l'urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di vedere suo figlio perdersi" ha detto dall'ambone durante la messa funebre. Si rivolge alla guardia di Finanza, che lei ha chiamato, lei e non lo Stato paternalista. "Si è rivolta a noi perchè dopo innumerevoli tentativi di convincere il figlio di smettere di farsi di spinelli non sapeva più cosa fare - racconta il generale Renzo Nisi, comandante provinciale della Guardia di Finanza - noi abbiamo organizzato un servizio e siamo andati lì". Poi è successo il fatto che comunque la donna non imputa assolutamente alle Fiamme Gialle.

Poi, non paga di aver rovinato la festa ai cantori e teorizzatori dell'omicidio di Stato ha proseguito rivolta ai compagni di squadra del figlio: "Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuol soffocarvi". E ancora: "Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp, straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate". 

Non c'è che dire: proprio un bel "papagno" in faccia ai libertini in servizio permanente che pontificano sui giornali tutti i giorni di droga libera, di spinelli innocui. Una sola donna da un ambone ha rotto il muro di omertà di una società votata all'autodistruzione legale. 

Una mamma coraggio che nel momento più straziante della vita ha tirato fuori il cuore: "Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo". "In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi". 

Chissà in quanti avranno provato un po' di vergogna per essersi appropriati di questa storia tragica per sfruttare l'occasione? Chissà se un moto di pentimento da parte di qualche giornale, di quale furbo approfittatore si è mosso dalla coscienza? Chissà in quanti ora si stanno chiedendo che risposta dare al grido di disperazione di una madre che dall'ambone non si è chiesta di chi è la colpa, ma come uscire dal vicolo cieco della distruzione giovanile, questa sì, boccone appetibile per uno Stato che si vuole impossessare delle loro anime e dei loro corpi? 

Ma è ovvio anche che non ci sarà mai soluzione proponibile ad una domanda che gli adulti e il mondo politico e mediatico non hanno il coraggio di porsi. Motivo per cui l’analisi dei fatti viene saltata a piè pari, preferendo guardare solo a ciò che conviene. 

Per rispondere bisognerebbe chiedersi di cosa abbia bisogno un figlio per vivere. Eppure nessuno si è domandato che cosa abbia spinto Giò a drogarsi, cosa a uccidersi, o da dove provenga la disperazione che affligge tanti giovani come lui, così insicuri e fragili. Perché quello che un ragazzo ha bisogno di sentirsi dire è il contrario di quanto predicano i vari Saviano o delle giustificazioni propinate (è colpa del governo che non dà lavoro) anche dopo il suicidio di Michele, un trentenne depresso perché nulla nella vita andava secondo i suoi calcoli. Ossia che esiste un motivo per cui non c’è difficoltà che ammetta un gesto simile, per cui non è la droga a risolvere i problemi (perciò va stigmatizzata anche tramite una legislazione severa), ma soprattutto per cui la vita vale la pena anche quando è dura.

Il dramma, però, è che non c’è soluzione a domande che il mondo adulto e dei media non vogliono porsi, dato che lo scetticismo gaio in cui vivono non ha ragioni sufficienti per affrontare il cuore di ragazzi le cui ferite gridano il bisogno di un significato per cui spendersi e anche soffrire. Così si finisce ad offrire loro soluzioni sentimentali (“ascoltate i vostri figli”, “comprendeteli”, “non biasimateli”) che non fanno che incrementare il lassismo relativista in cui sono intrappolati. Per capirlo e per riconoscere davvero il malanno bisognerebbe infatti guardare proprio ai giovani: “Riconosco che mi avete voluto bene, ma non siete stati capaci di farmi del bene. Mi avete dato tutto, anche il superfluo, ma non mi avete dato l’indispensabile: non mi avete indicato un ideale per il quale valesse la pena di vivere! Per questo ho deciso di togliermi la vita!”, scrisse una giovane prima di suicidarsi nei bagni di una stazione a Roma. 

Ed è sempre fra loro che andrebbe cercata la soluzione. Basterebbe leggere la lettera di una sedicenne a un amico apparsa lo scorso maggio sul blog di Costanza Miriano: “Più volte mi hai detto di essere stufo dei soliti discorsi sempre più banali (…) sul “bisogna rispettare tutti indistintamente dal colore della pelle, religione, lingua e bla bla bla”. Come darti torto, ti capisco bene (…)". Poi per aprire uno squarcio gli comunica che "tu sei amato immensamente, di un Amore così grande da non potertelo nemmeno immaginare. Sei amato sempre, in ogni momento, anche quando prendi 4 in matematica o litighi con un amico". La giovane gli spiega di averlo capito grazie alla Chiesa che "non è solamente corruzione e pedofilia come ci vogliono far credere. Guarda tutto il bene, la bontà e la bellezza che provengono da essa, ne resterai estasiato. Cerca di ricordarti anche che quel Dio che tu sostieni non aver fatto niente per noi, è “solamente” morto in croce, per me e per te".

Anche se "so bene come ti senti in certi momenti, quando ti pare tutto senza un vero e proprio senso e vieni sopraffatto da un’apatia violenta. Non puoi rassegnarti a tutto questo. Siamo fatti per combattere certi della Vittoria non della sconfitta. Te ne prego, non credere che non ci sia un motivo per la tua presenza su questa terra. Perché c’è, e tu sei chiamato a fare qualcosa di immensamente grande. Sei più prezioso del gioiello più bello e costoso che possa esistere. Di fronte a Dio anche il valore di tutti i quadri degli Uffizi impallidisce rispetto al tuo (…)  ti ho voluto far sapere che conosco Uno che può salvarti la vita. E forse, un giorno, sarai tu a darmi ragione”.

Perché per sopportare il limite quotidiano, c'è bisogno di un per sempre, e di padri e madri che lo vivano ma sopratutto che lo indichino.