Quel volantino "no vax" della Croce Rossa
Con il vaccino non cambia niente: mascherine e distanziamento resteranno. E' questo il senso di un volantino della Croce Rossa (e non di un militante no-vax), che riassume bene la mentalità dominante anche nel governo Draghi. Ci toccherà un lockdown permanente, anche dopo la campagna vaccinale?
Un volantino è comparso nelle nostre città e sulle bacheche dei social network. Ha il marchio della Croce Rossa Italiana. E’ diviso in due colonnine. In quella a sinistra leggiamo le regole che la persona non ancora vaccinata deve seguire: “usare la mascherina, mantenere la distanza e igienizzare le mani” e quel che potrebbe subire se non le seguisse bene: “essere contagiato” e “contagiare (se positivo)”. Nella colonnina di destra, leggiamo invece le regole che la persona già vaccinata deve seguire: “usare la mascherina, mantenere la distanza e igienizzare le mani” e quel che potrebbe subire se non le seguisse bene: “essere contagiato” e “contagiare (se positivo)”. No, non avete avuto un déjà vu e non è un errore di stampa. Il volantino della Croce Rossa è scritto veramente così (vedi foto).
Dopo una serie di accertamenti sulle fake news siamo giunti alla conclusione che il volantino non sia lo scherzo di un no vax, ma sia autentico: è stato pubblicato anche sulle pagine Facebook ufficiali della Croce Rossa. Il problema vero è che sono autentici anche i suoi contenuti. Soprattutto alla domanda “Ma allora cosa cambia?” la Croce Rossa risponde che “Vaccinandoti contro il Covid-19 riduci notevolmente il rischio di ammalarti gravemente”. Tutto qui? Tutto qui, anche se non è poco, considerando che liberare gli ospedali è il vero scopo del lockdown, della mascherina, del distanziamento e di tutte le altre misure più invasive del governo Conte e poi di quello Draghi.
Però, a questo punto, vengono smentite le premesse stesse della politica sin qui seguita dal governo che ha disincentivato ogni strategia alternativa al lockdown, limitandosi ad attendere la campagna vaccinale. Se da un lato viene smontata la tesi dell’onnipotenza dell’arma vaccinale per porre fine alla pandemia (atteggiamento che poi porta a chiedere l'imposizione dell'obbligo, l'introduzione di pass vaccinali, o l'intimidazione di chi non si fa vaccinare), dall’altro se ne sottovalutano gli effetti benefici già osservabili all’estero.
Il vaccino è “l’unica via di uscita” dalla pandemia, così è stato detto e ripetuto. Ma oggi il virologo Massimo Galli, onnipresente in televisione, arriva a dire che, con la variante inglese, il vaccino “funzionicchia”. L’epidemiologa Lucia Bisceglia, neo presidente dell’Associazione epidemiologi italiani, in una sua recente intervista al Corriere della Sera, si è opposta con gran determinazione alla politica delle riaperture. E del pass (che vale anche per 6 mesi dopo la vaccinazione) dice: “Avere il pass può indurre la sensazione di avere una protezione assoluta. Non è così”. A giudicare dalla politica del governo Draghi, con una ripartenza molto prudente e condizionata da nuove regole draconiane, è questa la linea che si è imposta, pur mitigata dalle inevitabili mediazioni politiche.
Tutti abbiamo visto le immagini del Regno Unito, dove hanno riaperto i locali pubblici e la gente è tornata serenamente a riempire le strade e i pub, dopo la prima fase della campagna vaccinale (con AstraZeneca, prima dose). Nel Regno Unito la pandemia è “finita”, secondo diversi esperti, alla luce di una drastica riduzione del contagio, pari al 90%. E per non parlare di Israele dove, a seguito della vaccinazione di massa della popolazione, sono stati riaperti tutti i locali, è iniziata la stagione balneare ed è finito anche l’obbligo di portare la mascherina. Nello Stato ebraico si inizia a parlare di immunità di gregge ormai a portata di mano. Regno Unito e Israele hanno scommesso seriamente sul vaccino e lo hanno somministrato ad una percentuale di cittadini (48% e 62% rispettivamente) molto superiore rispetto a quella dell’Italia (poco meno del 20%). Quindi è solo una questione di velocità della campagna vaccinale? In parte lo è, ma non solo.
E’ anche e soprattutto una questione di propensione al rischio. Per fare qualche confronto: negli Usa Donald Trump incoraggiava gli Stati a riaprire appena possibile, anche quando il vaccino non era ancora stato brevettato. Successivamente, ha pianificato una campagna vaccinale basata sulla rapidità (il piano Warp Speed) sempre per permettere di riprendere una vita normale il prima possibile. Anche il più prudente Boris Johnson, che ha sposato la linea del lockdown fino al vaccino, accetta comunque il rischio di una copertura ancora insicura, data dalla prima dose di AstraZeneca, per dare il via libera ai suoi cittadini. In Italia, dall’inizio della pandemia viene applicata, invece, la più rigorosa interpretazione del principio di precauzione. Tutto chiuso fino al vaccino, poi ancora tutto chiuso fino all’immunità di gregge e già si sta preparando la nuova narrazione: tutto chiuso anche dopo la campagna vaccinale, perché riduce i rischi, ma non li elimina. Quindi si punterà maggiormente sulle cure? No, a giudicare dalla battaglia condotta in questi giorni dal ministro Speranza contro le cure domiciliari. Quindi, lockdown permanente?