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LA VITA DI GESù NELL'ARTE / 25

Quel gesto decisivo di Pilato

Guardando l'opera “Pilato si lava le mani” di Luca Giordano ci viene naturale chiederci: se il prefetto romano non avesse fatto questo, cosa sarebbe diventato Gesù?
 Non lo sapremo mai. Sappiamo però che nella vita dobbiamo sempre dare importanza alle priorità: non dobbiamo confondere la prudenza con la codardia, né la pazienza con l’indecisione, perché questi tratti di carattere farebbero di noi dei tiepidi e Gesù odiava la tiepidezza, ancor più della freddezza.
- LA RICETTA 

Cultura 28_06_2022

Dopo il tradimento di Giuda, Gesù è stato portato via dai soldati romani e processato. La sua strada ha incrociato quella di Ponzio Pilato, un uomo con il quale la Storia è indecisa.

Ci sono fonti che lo descrivono come un uomo crudele: Filone di Alessandria, uno dei più importanti intellettuali ebraici del I secolo d.C., ci fornisce un ritratto spietato di quest’uomo, che lui considerava “un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia. Orgoglio, prepotenza e insolenza erano la sua regola. [...] Il Paese sotto di lui fu lasciato al saccheggio e la gente veniva uccisa senza rispetto di alcuna legge”.

A parere di chi scrive dobbiamo essere prudenti quando riportiamo i giudizi degli autori antichi, specialmente quando, come in questo caso, le fonti sono poche e molto marginali. La storiografia ha messo dei secoli prima di assumere i valori e i requisiti di una disciplina scientifica. Molti degli autori antichi, anche se rigorosi e fondamentali, attribuivano più importanza alla loro prospettiva che non alla registrazione dei fatti. Sovente i giudizi morali sui personaggi storici ed il loro operato influiscono in maniera drastica sul ritratto tramandato.

L’altra “scuola di pensiero” su Ponzio Pilato è la visione della cultura occidentale, per la quale non è certo la crudeltà a caratterizzare la memoria del procuratore di Giudea: l’immaginario comune tende infatti ad accusarlo di indecisione e codardia.

Pilato sarebbe rimasto un personaggio sbiadito, noto probabilmente solo ai più attenti specialisti dell’epoca, quasi una nota a piè di pagina nel grande libro della Storia, se durante il suo mandato non avesse incrociato un certo Yeshua ben Yosef, giovane rabbi della città di Nazareth che raccolse un ampio seguito in Galilea e Giudea predicando la necessità di un rinnovamento spirituale e la prossimità del regno di Dio.

Come andò a finire, lo sappiamo bene e non ci dilungheremo qui. Ciò che merita invece attenzione è come la vicenda storica del prefetto Pilato sia stata trasfigurata a partire dal suo ruolo nella Passione di Cristo, e come un intervento tanto limitato quanto essenziale abbia imposto un’immagine indelebile ad un personaggio altrimenti trascurabile.

Per gli storici pagani, la condanna a morte di un ribelle sedizioso di non particolare rilievo in una remota e arretrata provincia come la Giudea del I secolo non rappresentava un fatto di grande interesse.

Difatti, gli storici romani se ne occupano unicamente a posteriori, identificandolo solo come l’origine della setta dei cristiani che causava agitazione nell’Impero. La sentenza di Pilato viene menzionata di sfuggita, come una semplice puntualizzazione. Sono invece i cristiani ad elaborare compiutamente la riflessione su quel frangente, sia nel presentare resoconti più ampi ed articolati sia nell’attribuire a quell’episodio una portata di grande rilievo e di un’importanza maggiore del semplice fatto storico.

Ponzio Pilato è l’unico personaggio storico citato nel Credo, assieme alla Vergine Maria: benché il prefetto sia intervenuto solo alla fine della vicenda evangelica, la sua parte è stata a tal punto fondamentale da meritare di essere registrata assieme agli altri capisaldi della nostra fede, un onore che non è toccato né ai compagni di Gesù né ad altri che pure avevano ricoperto un ruolo più importante nella vita di Cristo.

Il momento storico in cui Gesù interagisce con Ponzio Pilato viene splendidamente raffigurato in un dipinto del 1655 di Luca Giordano, intitolato “Pilato si lava le mani”: è un olio su rame che fa parte della collezione del Museo del Prado di Madrid. In omaggio ad un’iconografia diffusa, Giordano unifica in un solo momento dettagli distinti, quali Cristo coronato di spine, il suo incontro con Pilato e il lavaggio delle mani. Il quadro sprigiona tutta l’ignominia di Pilato e la grandeur di Gesù.

Il prolifico artista (ha dipinto più di mille opere) è nato a Napoli nel 1634. Suo padre, pittore anche lui, nota lo straordinario talento del figlio già quando quest’ultimo ha solo otto anni e riesce a completare una tela del padre dipingendo un cherubino.

Questa impresa spinse il viceré di Napoli, che era un cliente dei Giordano, a collocare il bambino in apprendistato presso José de Ribera (1591 - 1652), attivo a Napoli in quegli anni. Il giovane si esercita all’arte della pittura facendo copie delle opere dei grandi artisti: durante un viaggio a Roma nel 1652 disegnò capolavori di Michelangelo, Raffaello, i Carracci e il Caravaggio. A Parma copiò le opere del Correggio e del Veronese.

Dal 1653 al 1667 completò la sua formazione a Venezia, dove ottenne i primi importanti incarichi. Per la Basilica di San Pietro di Castello fece la pala della Vergine col Bambino e le anime del Purgatorio. Produce anche per la chiesa di Santa Maria del Pianto, oggi chiusa.

Dopo aver lavorato nella maggior parte dei grandi centri artistici italiani, forgia uno stile personale che unisce, per così dire, i fasti ornamentali del Veronese e le grandi composizioni di Pietro da Cortona.

Alla fine degli anni '70 del Seicento dipinse a Napoli diverse serie di affreschi presso l'Abbazia di Montecassino, nella cupola della chiesa napoletana di Santa Brigida e poi presso la chiesa di San Gregorio Armeno (affreschi dorati). Tornato a Firenze all'inizio degli anni ‘80 del Seicento, lavorò presso la chiesa di Santa Maria del Carmine (cappella Corsini) e presso la biblioteca e palazzo Medici-Riccardi.

Nel 1672-1674 soggiornò una terza volta a Venezia.

Intorno al 1687, Carlo II di Spagna lo invitò a Madrid, dove rimase per almeno l'intero decennio 1692-1702 per decorare con affreschi il monastero dell'Escorial, i palazzi reali del Buen Retiro a Madrid e di Aranjuez a Toledo, che conservano alcune sue opere. Luca Giordano è molto apprezzato dalla corte spagnola. Il re gli concede il titolo di caballero (cavaliere).

Ritornato a Napoli intorno al 1702, continuò a lavorare con la stessa febbre creativa. Dal 1703 fino alla morte dipinse il soffitto della Sala del Tesoro della Certosa di San Martino. Sempre più numerose, le commissioni lo portano a gestire un laboratorio di produzione dove vari collaboratori sviluppano “in grande stile” o completano progetti e bozzetti che il maestro spesso si accontenta di completare con un semplice colpo di pennello.

Morto all'inizio del 1705, Luca Giordano fu sepolto nella chiesa di Santa Brigitta a Napoli. Guardando la sua opera “Pilato si lava le mani” ci viene naturale chiederci: se il prefetto romano non avesse fatto questo, cosa sarebbe diventato Gesù?


Non lo sapremo mai.

Sappiamo però che nella vita dobbiamo sempre dare importanza alle priorità: non dobbiamo confondere la prudenza con la codardia, né la pazienza con l’indecisione, perché questi tratti di carattere farebbero di noi dei tiepidi e Gesù odiava la tiepidezza, ancor più della freddezza. Non esita a dirlo ed a rimproverare i tiepidi, ma lo fa per amore e nella speranza che costoro se ne rendano conto e si convertano. "Io tutti quelli che amo li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. (Apostoli 3:19-21).

Il Dio di Gesù è fuoco, amore e tenerezza. Ed è anche il nostro Dio.