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L'ANALISI

Quel consenso informato è viziato perché non libero

È manifesto che il governo stia obbligando alla vaccinazione non de iure, ma de facto, dato che se il cittadino non si vaccina non può esercitare una serie di libertà costituzionalmente garantite. Dunque il consenso espresso non è valido, perché è stato estorto a seguito di alcune minacce provenienti dal governo. Tale condotta governativa potrebbe configurare qualche reato? L’ipotesi è da approfondire, però si potrebbe supporre il reato di violenza privata.

Editoriali 21_09_2021

Vaccinazione e consenso informato. In merito a questo binomio vogliamo qui articolare una breve riflessione non tanto sull’aspetto informativo del consenso affinché questo sia valido. Tale aspetto è cardinale perché riguarda i possibili effetti avversi della vaccinazione i quali, nel medio e lungo termine, rimangono abbastanza oscuri (seppur con il passar del tempo gli effetti avversi a breve e medio termine inizino ad essere riconoscibili, stante il fatto, però, che non esiste ancora letteratura scientifica sul punto). Non conoscendo con precisione i danni da vaccinazione il consenso del vaccinando risulta non essere informato. Detto ciò, il difensore dei vaccini senza se e senza ma così obietterebbe: il rischio da vaccinazione, che si riflette anche sulla mancanza di una informazione completa, può essere lecitamente sopportato in caso di urgenza come la presente. Vero: può essere lecitamente sopportato, ma deve essere lecitamente sopportato da chiunque. Come più volte ricordato da queste colonne, mancando i requisiti di efficacia e necessità in merito all’uso di questi vaccini, viene meno anche la possibilità di imporre la vaccinazione di massa.

Però, come accennato, non vogliamo qui mettere sotto la lente di ingrandimento il requisito dell’informazione affinché il consenso alla vaccinazione sia valido, bensì quello della libertà (seppure il requisito della informazione incida sulla libertà perché in assenza di completezza informativa, la volontà del malato non è libera. Cfr. Tribunale Roma, 23-7-2007, n. 2049). Affinché il consenso sia valido occorre che sia libero. È manifesto che il governo stia obbligando alla vaccinazione. Non obbligo de iure, perché non esiste una legge che impone la vaccinazione, bensì un obbligo de facto, dato che se il cittadino non si vaccina non può esercitare una serie di libertà costituzionalmente garantite. Dunque, potremmo così dire, un obbligo alla vaccinazione indirettamente giuridico.

Possiamo perciò asserire che il cittadino che si vaccina perché, in assenza di green pass, non potrebbe più svolgere alcune attività, tra cui quelle lavorative, esprima un consenso libero? Appare manifesta la risposta negativa: tale consenso è viziato dalla mancanza di libertà nell’esprimerlo. È infatti un consenso fortemente condizionato. Recita l’art. 5 della Convenzione di Oviedo: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato”.

Solo il consenso volto alla prevenzione del virus è libero, invece il consenso espresso per evitare altre conseguenze spiacevoli diverse dal Covid, non è libero. Quindi i milioni di persone che hanno dichiarato: “Io non mi sarei mai vaccinato, ma se non lo facevo non avrei potuto fare questo e quello”, hanno espresso un consenso viziato, non valido, perché non libero.

Solo una norma che obbligasse esplicitamente alla vaccinazione potrebbe rimanere indifferente ad un consenso fortemente condizionato. In altri termini, solo se la vaccinazione diventasse un trattamento sanitario obbligatorio previsto dalla legge non avrebbe più senso eccepire il vizio di consenso per mancanza di libertà, proprio perché trattamento imposto e non proposto (ciò naturalmente non escluderebbe una critica a simile legge).

Dunque, abbiamo provato che il consenso espresso da molte persone non è valido, ossia è stato estorto a seguito di alcune minacce provenienti dal governo. Tale condotta governativa potrebbe configurare qualche reato? L’ipotesi è da approfondire però si potrebbe supporre il reato di violenza privata. L’art. 610 cp così recita: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Il giurista Del Corso sostiene che si configura violenza privata in ambito clinico “qualora il medico, per un malinteso senso filantropico, spianato il fucile contro il paziente, lo costringa a prendere il portentoso medicamento” (Il consenso del paziente nell’attività medico-chirurgica, RIDPP, 1987, p. 564. Sul tema consenso informato e violenza privata in campo medico cfr. C. Leotta, Digesto delle discipline penalistiche – aggiornamento, Utet). Sostituite il medico con il governo e il fucile con le privazioni attualmente paventate e vi ritrovereste nella ipotesi che qui stiamo indagando.

Chiaramente quel qualcosa che si è costretti a fare, menzionato dall’art. 610 cp, non deve essere necessario per il bene comune, altrimenti la minaccia sarebbe giusta. Ad esempio, lo Stato giustamente minaccia gli evasori fiscali con alcune sanzioni e di certo questo comportamento non configura violenza privata. Ecco il governo dovrebbe provare che la vaccinazione sia necessaria oltre che efficace. Se lo provasse allora dovrebbe varare una legge che obbligasse tutti a vaccinarsi. Ma, fino a prova contraria, tale obbligo rimane iniquo.