Quanto sangue costa una guerra?
In qualsiasi conflitto emerge il lato più oscuro dell’essere umano, che non si accontenta delle azioni militari, ma genera una scia di violenza che non risparmia donne e bambini. Per questo, a prescindere da ragioni e torti, è una decisione da adottare solo come extrema ratio. E allora perché molti sembrano spinti dall’ansia di inviare armi più che di operare per la pace?
La notizia circolava già da un po’ di tempo, ma ora è confermata: gli uomini della SAS (Special Air Service, un corpo speciale dell’esercito britannico) avrebbero ucciso a sangue freddo alcuni uomini afghani disarmati. Per ultime sono giunte le prove balistiche: «I bersagli erano bassi al suolo, proni o in posizione seduta o accovacciata vicino al muro – una posizione insolita se erano attivamente coinvolti in uno scontro a fuoco». Si è trattato, con ogni evidenza, di omicidi premeditati e a sangue freddo. Il movente? Una specie di «gioco»: «Diverse persone che hanno prestato servizio con le forze speciali hanno affermato che gli squadroni SAS stavano gareggiando tra loro per ottenere il maggior numero di uccisioni e che lo squadrone esaminato dalla BBC stava cercando di ottenere un numero di vittime più alto di quello che aveva sostituito».
La notizia è francamente scioccante ma si aggiunge a una serie altrettanto terrificante. Ad esempio, il traffico di organi umani durante e immediatamente dopo la guerra del Kosovo (1998-1999): come dimostra un documento dell’ONU: in quell’occasione centinaia di persone sarebbero state uccise per predarne gli organi vitali e venderli sul mercato internazionale. Anche in occasione dell’attuale guerra in Ucraina ci sono stati episodi di traffico di esseri umani (donne e bambini) e di organi; per non parlare dei civili usati come scudi umani e dei bombardamenti sulle città passate sotto il controllo russo.
Tutto questo tacendo, ovviamente, del fenomeno della prostituzione di guerra, del traffico di armi e dell’uso massiccio di droghe di ogni tipo da parte dei combattenti.
Insomma: la guerra è una sciagura immensa da evitare in qualunque modo. Per questo motivo la Chiesa ha sempre accettato la guerra esclusivamente come extrema ratio (ultima soluzione, estremo rimedio) e a determinate condizioni. Tradizionalmente: legitima auctoritas (la guerra dev’essere dichiarata da una autorità legittima); debitus modus (in modo proporzionale all’offesa ricevuta); iusta causa (causa giusta). Il Catechismo della Chiesa Cattolica aggiorna questa dottrina così: «Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente: 1) che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; 2) che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; 3) che ci siano fondate condizioni di successo; 4) che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”» (§ 2309).
Anche la Costituzione italiana, scritta con il concorso di illustri esponenti del mondo cattolico, recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» (Art. 11).
Ultimamente, alcuni giustificano la partecipazione italiana alla guerra in Ucraina (tramite invio di armi) interpretando la costituzione in modo tendenzioso: l’articolo sopra citato si riferirebbe esclusivamente alla guerra «offensiva», mentre la guerra «difensiva» non è esclusa dalla carta costituzionale. Dando per scontato che l’Italia sia alleata dell’Ucraina (che non è nella NATO), l’intervento indiretto italiano sarebbe giustificato in quanto difensivo. La Costituzione, tuttavia, è chiarissima: ««L’Italia ripudia la guerra [...] come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». In altri termini, l’Italia dovrebbe rivestire, anche in questo caso, il ruolo che ha rivestito (a quanto pare con buoni risultati) negli ultimi settanta e passa anni: l’evangelico operatore di pace, mediante la diplomazia e un utilizzo umanitario delle forze armate. Tra l’altro, Gesù promette agli operatori di pace il titolo di «figli di Dio» (Mt 5, 9). Quindi, se gli Stati Uniti vogliono combattere la Russia «fino all’ultimo ucraino», l’Italia – se ancora conta qualcosa – dovrebbe fare di tutto perché le armi tacciano e si trovino soluzioni pacifiche alla controversia ucraina.
A questo punto, però, emerge un problema: come mai in Italia, dove questa tradizione pacifica di successo è radicata da decenni e condivisa dagli ambienti più diversi (cattolici, sinistra ex PCI…), si è diffusa questa visione superficiale della guerra, al punto da stravolgere la Costituzione (e, in alcuni casi, il Vangelo e il Magistero)? Come mai la politica e i media (con alcune eccezioni) sostengono unanimemente l’intervento italiano in Ucraina e il dibattito è talmente impensabile da veder comparire «liste di proscrizione» che includono persino i «tiepidi»? Come mai, tra i più accaniti sostenitori della linea interventista, troviamo Emma Bonino (+Europa), appartenente storica al Partito Radicale, da sempre pacifista? In compagnia di Enrico Letta, segretario non eletto del PD, erede del PCI, che per decenni ha fatto professione (forse un pochino pelosa) di pacifismo? È una questione psicologica o forse… stanno cadendo alcune maschere?
Preghiamo Maria, Regina della pace, perché disperda i superbi nei pensieri del loro cuore e rovesci i potenti dai troni, affinché sulla terra, in Europa in particolare, cessi ogni guerra e, con essa, le malvagità che sempre l’accompagnano.