Quanto invano viene nominato il nome di Dio
Gli studi sul linguaggio nel XXI Secolo rivelano che la parolaccia sia stata sdoganata e con essa anche la bestemmia, o l'abuso della parola Dio (tranne Allah). I film sono il caso più eclatante: Dio è sempre invocato, come intercalare o imprecazione.
Qualche mese fa è stato pubblicato con grande rilievo uno studio statunitense sul linguaggio moderno, del XXI secolo, in un confronto con quello dei nostri bis-bisnonni. Bla, bla, bla, tabelle, ovvietà, comparazioni più o meno intelligenti, per arrivare a quella che veniva venduta come una verità assoluta: il linguaggio, qualsiasi tipo di linguaggio, non va mai censurato, perché così facendo si blocca il libero flusso del progresso delle parole, che hanno una loro vita, che nascono e muoiono, anche se una traccia, pur nascosta che sia, resta sempre.
Gli esperti - termine che significa tutto e il contrario di tutto - asserivano nella ponderosa ricerca (finanziata da chi? Non era specificato) che la loro verità assoluta vale anche per quelle che vengono definite da noi comuni mortali parolacce: oggi avrebbero perso il loro primario significato, e dire st...zo o put....na, giusto per fare un paio di esempi, neppure i peggiori, rientra nel normale parlare quotidiano. Perché mai eliminarle? Con passo subdolo il lettore veniva quindi portato a ragionare sul termine Dio, dagli esperti scritto politically corret in minuscolo, Dio, dio, dei: che differenza fa in un mondo dove la religione cristiana e la religione islamica conterrebbero entrambe un pezzo di verità? Dove anche il buddismo o l'induismo vengono considerate religioni al pari di quelle monoteiste?
Ed anche qui il fondamentale credo degli esperti americani: perché mai censurare la parola Dio (noi retrogradi continuiamo a scriverla con la lettera maiuscola) nel nostro intercalare? Dio mio!, ma buon Dio, Dio me ne scampi e liberi; ma anche un Cristo! detto nei momenti difficili, non come invocazione ma come un più o meno inconsapevole intercalare, non sarebbe da biasimare. Solo una notazione, prima di proseguire nel nostro ragionare: guai a nominare Allah invano.
Ecco il punto: la negazione del comandamento che vieta di nominare il nome di Dio invano. Non è più un peccato o almeno di dubbio gusto, ed "approfittarne" diventa quasi un obbligo per dimostrarsi progressisti e moderni, per dimostrare di avere una mentalità aperta e allineata con il XXI secolo; in caso contrario si rischia di essere considerati dei retrogradi.
Il caso più eclatante, ma non ho ancora letto una ricerca di qualche moderno esperto su questo tema, è il mondo del cinema. Non c'è film che si attenga al comandamento sul rispetto del nome di Dio. Tutti, ma proprio tutti i film - abbiamo tenuto il conto di quelli visti negli ultimi quattro mesi, sul grande o sul piccolo schermo, nuovi e vecchi, proposti da Sky o dalle reti generaliste - tutti i film alla fine ci cascano: ed eccolo lì quel Dio, o Cristo, tirato inutilmente in ballo come fosse un intercalare. Dio, mai Allah, giusto per onore di cronaca. Eccolo lì abbassato a tre lettere che perdono il loro unico significato per trasformarsi in tre lettere banali, precedute da una "o" oppure da un "mio", dai molteplici significati: di esortazione, incredulità, spavento, perfino rabbia. Noia o angoscia. Spesso anche di imprecazione.
Significati ultraterreni, trascendentali mai. Di fede mai. Resta poi più difficile riportare Dio al livello che gli compete: quello del creatore morto per la nostra salvezza. Tre lettere traslate in una traduzione che dire scorretta è dir poco.
Mi chiedo soltanto se gli autori di tanti film di successo se ne rendano conto. Se lo facciano con cognizione di causa. Forse bisognerebbe ricordare loro, ed agli attori che il nome di Dio lo pronunciano erroneamente, che i comandamenti dieci sono e dieci restano. Qui il progresso e la modernità non c'entrano. E i bis-bisnonni neppure.