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IMMIGRAZIONE

Quanti pregiudizi, questi ideologi dello Ius soli

La tragedia sventata di 51 bambini a San Donato ha dato adito alla solita strumentalizzazione per promuovere lo Ius soli, la cittadinanza italiana alla nascita, solo due anni dopo che la riforma era stata bocciata. Un'idea apparentemente altruista, sostenuta anche da monsignor Paglia, che cela infiniti pregiudizi

Editoriali 26_03_2019
Fiaccolata per lo Ius soli

C’è qualcuno a cui importa davvero dei bambini? Soprattutto dei 51 bambini che hanno rischiato di essere bruciati vivi, intrappolati su un autobus da un uomo in preda all’odio? Di loro sembra che non importasse abbastanza alla ditta di trasporti, inspiegabilmente all’oscuro del passato pauroso dell’uomo a cui affidava la vita dei bambini.

Non importa abbastanza a certi personaggi di cui i mass media riportano i commenti: “sono fatti (riferendosi all’atto di terrorismo in questione) che vanno compresi, nel senso di comprenderne la ragione” (Livia Turco); “la follia criminale del cittadino italiano Ousseynou Sy è l'esito di una contrapposizione isterica che manifesta ostilità agli immigrati additandoli come privilegiati” (Gad Lerner); l’attentatore è un pazzo che però riflette gli “odi di un’epoca: quello dei governi contro gli immigrati neri, dei sovranisti contro i globalisti, degli estremisti ebrei e cristiani contro i musulmani, delle grandi città contro le periferie” (Francesco Merlo).

Che l’attentato e i bambini che l’hanno subito sarebbero strumentalizzati per motivi politici e ideologici si è capito quando quasi tutti si sono disinteressati di uno di loro, Riccardo, quello, italiano, che ha raccolto da terra il cellulare, per concentrarsi su Rami, il bambino straniero che con quel cellulare ha telefonato ai carabinieri.  L’attentato è stato infatti sfruttato per rilanciare la battaglia per lo ius soli, l’attribuzione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri.

Monsignor Vincenzo Paglia tra gli altri, in una intervista rilasciata il 25 marzo al quotidiano La Repubblica, la rivendica con i soliti argomenti: è un dovere concederla per il bene del paese, altri stati già la prevedono, è un atto di giustizia…  

In replica ai suoi argomenti vale quanto si è più volte detto nel 2017 quando la legge sullo ius soli è stata presentata in parlamento e respinta (vedi, ad esempio, I veri razzisti sono i fondamentalisti dello ius soli): i figli di stranieri possono chiedere e ottenere la cittadinanza italiana raggiunta la maggiore età e nel frattempo non sono né marginalizzati né tanto meno discriminati come invece si sostiene. Anche nel 2017 si accusava di razzismo e xenofobia chi si opponeva alla legge. Ma qualcuno aveva replicato, tra le altre obiezioni, che porre il problema della cittadinanza italiana per nascita solo da quando i bambini “esclusi” sono praticamente tutti africani e asiatici rivelava un atteggiamento forse inconsapevole, ma ben reale di superiorità e di disprezzo nei confronti di alcune nazionalità dalle quali si riteneva era giusto “liberare” i figli senza colpa degli stranieri.

Questo stesso atteggiamento si ritrova oggi in chi propone di concedere a Rami la cittadinanza italiana come “premio” per il suo coraggio: come se, appunto, essere cittadini italiani valesse più che essere cittadini marocchini. 

Anche altre affermazioni di monsignor Paglia nell’intervista citata richiedono una replica. Il dovere dell’accoglienza, secondo monsignor Paglia, si sposa provvidenzialmente, nel caso dell’Europa, con l’esigenza di forze nuove. È il consueto argomento avanzato dagli “immigrazionisti” secondo i quali gli stranieri compensano una crescente scarsità di forza lavoro destinata ad aggravarsi. L’Europa invecchia – dicono – non fa figli, servono milioni di immigrati. L’obiezione è che, se mai sarà vero, non lo è per il momento, soprattutto in Italia dove il tasso di disoccupazione è al 10,5%, il tasso di disoccupazione giovanile, di nuovo in aumento, è al 33% e dove ogni anno decine di migliaia di giovani emigrano in cerca di lavoro: oltre 244.000 giovani di età superiore a 25 anni, il 64% con titolo di studio medio-alto, hanno lasciato l’Italia negli ultimi cinque anni.

“E invece si ha paura – commenta monsignor Paglia – si parla di ius soli e ius sanguinis anche se per me la parola giusta è ius migrandi, il diritto di tutti di abitare la Terra come casa comune di tutti”. Il problema, aggiunge, è l’individualismo che produce un vuoto e che bisogna contrastare con un cambio di mentalità, un ritorno al valore della prossimità e della fratellanza: “guai a scaricare tutte le paure sugli immigrati”.

Si vede che monsignor Paglia è all’oscuro dei fatti o non li apprezza. Un pregiudizio gli impedisce di capire che gli italiani non riversano le loro paure sugli stranieri e tanto meno sugli immigrati, ma invece temono, a ragione, le conseguenze economiche, sociali e culturali dei flussi migratori illegali che in quattro anni hanno portato in Italia almeno mezzo milione di stranieri, arrivati senza documenti, quasi tutti chiedendo asilo per evitare di essere respinti. Temono questi immigrati illegali che, salvo una piccola percentuale, hanno mentito sulle ragioni che li hanno spinti a lasciare i loro paesi. Li temono perché, che ottengano o meno una forma di protezione internazionale, dopo il periodo più o meno lungo durante il quale sono assistiti in tutto dovrebbero integrarsi nel tessuto sociale ed economico del nostro paese e invece, salvo pochi, non ci riescono, perché non trovano un lavoro regolare o non lo cercano. Rimediano allora lavorando in nero o dedicandosi ad attività illegali. Nessuno sembra rendersi conto, inoltre, neanche monsignor Paglia, del danno che gli emigranti illegali arrecano a chi vorrebbe emigrare legalmente, che viene lasciato indietro perché il posto di lavoro che avrebbe potuto ottenere viene occupato da chi ha aggirato leggi nazionali e internazionali per raggiungere illegalmente l’Europa.