Quando una guerra può dirsi "giusta"?
La Chiesa non è ideologicamente pacifista. Nel Catechismo le condizioni per una guerra giusta sono chiare: grave danno causato dall'aggressore, inesistenza di alternative, uso proporzionato delle armi e ragionevole speranza di successo. Questo spiega perché, in questi mesi, la Chiesa sia tutt'altro che contraria a un'azione militare contro l'Isis in Medio Oriente.
La domanda è questa: c'è una guerra "giusta"? Può una guerra essere dichiarata moralmente, cristianamente lecita? Una domanda non retorica, pensando a quanto sta accadendo in Libia e in Iraq, dove il vescovo di Erbil ha chiesto alle truppe britanniche di intervenire: “E’ difficile per un vescovo cattolico - ha spiegato – dire che si deve sostenere un’azione militare, ma bisogna farlo. Ciò cui stiamo assistendo è ben peggiore rispetto a quanto accaduto in Afghanistan, con un numero maggiore di giovani che vanno a combattere per lo Stato islamico. L’azione militare è necessaria per cacciarli dai villaggi".
Ed anche il Sinodo straordinario dei vescovi caldei ha chiesto che "le forze nazionali e internazionali” possano unire “i loro intenti per liberare i territori occupati e mettere in atto le disposizioni necessarie per proteggere i cristiani e gli altri iracheni". Dichiarazioni che non lasciano dubbi. Ma quando una guerra è “giusta”? Quando, appunto, è moralmente, cristianamente lecita?
Se papa Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in terris sostiene che “è irrazionale pensare che, nell’era atomica, la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei diritti violati”, il Concilio Vaticano II ha ammesso che “fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa”. E il Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 2308 e 2309) specifica le condizioni secondo le quali una guerra può essere dichiarata moralmente lecita, e cioè un grave danno causato dall’aggressore, l’inesistenza di alternative, l’uso di armi proporzionate e una ragionevole speranza di successo.
In altre parole sono lecite le guerre difensive del proprio Paese e moralmente illecite quelle preventive. Questo però non esclude che una guerra offensiva possa essere giudicata “giusta”: nella dottrina classica, giusto per fare un esempio, erano guerre “giuste” quelle in cui l’attaccante voleva punire una grave “colpa” del nemico oppure per recuperare un territorio illegalmente occupato. Pensiamo al Califfato e agli orrori dell’Isis.
Oggi, però, con l’istituzione di autorità internazionali come l’Onu (che in questo periodo sta angosciamente lavorando per riportare la pace in Iraq e il Libia) queste eventualità dovrebbero essere sorpassate. Ma nascono altri casi di guerra “giusta”, come la “ingerenza umanitaria” che impone un intervento militare esterno se in qualche nazione ci sia pericolo di gravi violazioni dei diritti umani o di genocidio. E secondo alcuni teologi medioevali sarebbe ammesso anche il tirannicidio se si configuri come unica soluzione per rendere la libertà ad un popolo; però san Tommaso sosteneva che l’attentato non deve essere il frutto di un’iniziativa privata ma dalla ribellione dei “cittadini migliori” che, in mancanza di altre autorità, davano mandato ad alcuni di uccidere il dittatore.
Naturalmente tutto questo non significa che la vita – dono preziosissimo - non sia sacra e inviolabile dal primo istante del concepimento all’ultimo respiro; e la pace va cercata sempre e comunque. Il Papa ha più volte invitato i fedeli a pregare “per la pace in Medio Oriente e nel Nord Africa, ricordando tutti i defunti, i feriti e i profughi. Possa la Comunità internazionale trovare soluzioni pacifiche alla difficile situazione in Libia”. Una soluzione che naturalmente auspichiamo tutti.