Quando i ragazzi avevano le ginocchia sbucciate...
È estate inoltrata e ritroviamo i vecchi riti: le vacanze, l'abbigliamento (fin troppo) leggero, le canzoni allegre, il sole, il mare, i gelati. Al mio immaginario estivo, tuttavia, manca qualcosa che non riesco a considerare secondario: le ginocchia sbucciate. Per quanto mi guardi intorno non riesco a vederne…
È estate inoltrata e ritroviamo i vecchi riti: le vacanze, l'abbigliamento (fin troppo) leggero, le canzoni (sempre meno) allegre, il sole, il mare, i gelati. Al mio immaginario estivo, tuttavia, manca qualcosa che non riesco a considerare secondario: le ginocchia sbucciate. Per quanto mi guardi intorno non riesco a vederne.
Ai miei tempi (scrivo ormai come un vecchio...) erano un tatuaggio semi-permanente (da giugno a settembre) che contraddistingueva il ragazzino in gamba: avventuroso, vivace, temprato al dolore, (relativamente) indipendente dalla mamma. Erano il simbolo di una estate vissuta al massimo, ovverosia comprensiva di partite a pallone nel cortile dell'oratorio, gare in bicicletta, arrampicate sugli alberi, gare di salto in lungo dall'altalena.
Ora non si gioca più a pallone nel cortile dell'oratorio: primo perché si suda (!) secondo perché l'oratorio è vuoto e non c'è più con chi giocare. Si va in bicicletta, ma accompagnati da un adulto, in fila indiana su una pista ciclabile, con caschetto e ginocchiere. L'estate passa tra i compiti delle vacanze, i centri estivi (a scuola), vacanze “intelligenti” a misura di bambino, tablet e smartphone.
Le ginocchia sono salve, ma chi insegnerà ai bambini la virtù della fortezza (cioè del coraggio), la capacità di sopportare il dolore pur di compiere il bene? E la virtù della perseveranza (non mollare di fronte alle difficoltà)? E l'ascesi, il continuo miglioramento di sé che in ogni attività competitiva si esercita grazie al concorrente?
Qualche settimana fa ho tenuto una conferenza nell'entroterra della riviera del Conero, uno dei posti più belli d'Italia se non del mondo. A un certo punto è affiorato dalla memoria un gioco infantile di qualche decennio fa, diffusissimo da quelle parti, che i padri presenti ricordavano benissimo: i “carretti” nel maceratese) o “carrioli” (nell'anconetano). Si trattava di un accrocchio costruito di nascosto dalle mamme) con legni di recupero, reso mobile da cuscinetti a sfera: sul davanti un avantreno snodato prometteva (invano) la possibilità di curvare (http://www.labandadelcarrettino.com/index.html).
Con questi trabiccoli privi di ogni certificazione europea i bambini si gettavano in picchiata per le ripide discese dei paesi. Ginocchia sbucciate, ematomi e botte erano garantiti, così come una sana manualità, cameratismo e coraggio; il tutto, ovviamente, all'insaputa della mamma. Era solo qualche decennio fa, commentava qualche padre commosso.
Ora questo ed altri giochi “pericolosi” sono scomparsi. Ma il pericolo non è scomparso dal mondo. Semplicemente abbiamo deciso di non educare più i nostri figli ad affrontarlo. Niente più ginocchia sbucciate d'estate.