Quando i grillini fanno rima con Mussolini
Beppe Grillo attira decine di migliaia di persone in piazza grazie al suo carisma, propinando loro un programma centralista e statalista. C'è già un precedente: quello del primo fascismo rivoluzionario.
Sembra che domenica scorsa a Genova per ascoltare Beppe Grillo si siano raccolti in Piazza della Vittoria almeno 40mila persone malgrado, aggiungono i cronisti, la giornata fosse gelida e soffiasse un forte vento di tramontana. Ciò conferma che il Movimento 5 Stelle non va preso sottogamba. Beninteso, non perché possa dare un qualche serio contributo alla soluzione della crisi politica in atto nel nostro Paese: quando dalla protesta si passa alla proposta il discorso di Grillo diventa generico e velleitario.
«Spazzeremo via le Province, ci leveremo dalle scatole anche le Regioni, così troveremo i soldi per aiutare le piccole imprese e rilanciare il lavoro»: dire una cosa del genere, come ad esempio Grillo ha detto a Genova domenica scorsa, equivale a confessare in pubblico di non sapere nulla né delle Province, né delle Regioni, né tanto meno delle piccole imprese e del “lavoro vero”.
Il Movimento 5 Stelle va preso sul serio per un preciso motivo: per la forte carica neo-autoritaria che lo caratterizza. Pur con tutte le cautele che impone l’analogia fra due realtà tra loro storicamente così lontane, non si può non restare impressionati cogliendo le prossimità tra il Benito Mussolini del suo iniziale periodo “sansepolcrista” e il Beppe Grillo di oggi; tra il “me ne frego” del primo e il “vaffan..” del secondo. Ci sono passaggi dei discorsi del Mussolini di quel periodo che con pochi adattamenti potrebbero sembrare del Grillo di domenica scorsa. La veemenza retorica, il tono generale e lo stile delle denunce e delle invettive sono gli stessi. Fra l’altro in entrambi i casi si registra, per ciascuno relativamente all’epoca, una grande modernità e spregiudicatezza nell’uso dei più recenti mezzi e tecniche di comunicazione. Anche sul lato sociale le proposte sono altrettanto radicali: con analoghi argomenti e prospettive Mussolini attaccava i “profitti di guerra” dell’industria italiana del suo tempo tanto quanto Grillo attacca adesso le risorse che le banche hanno accumulato in questi anni di crisi e che tengono chiuse nei loro forzieri; e proponeva l’allora rivoluzionaria estensione del diritto di voto alle donne nonché la riduzione da 65 a 55 anni dell’età di pensione.
Come Mussolini, Grillo è rigorosamente centralista e statalista. Si tratta di “andare al governo del Paese” e da lì sistemare tutto. Perciò Grillo vede come il fumo negli occhi le autonomie sia territoriali che sociali. La sua volontà di “spazzar via” le Province e di “levarsi dalle scatole” le Regioni non è ispirata a problemi contingenti. In essi vede piuttosto l’occasione da prendere al volo per riportare tutto il potere politico a Roma (nell’illusione che così sia più semplice prenderne le redini) lasciando sul territorio solo funzioni amministrative. Analogamente è schierato toto corde contro la scuola non statale.
La lettura di scritti e di interviste di Gianroberto Casaleggio, braccio destro di Grillo e principale elaboratore dei suoi convincimenti e delle sue intuizioni, merita pure grande attenzione. Come si può uscire dalla crisi in cui l’Italia si trova? Introducendo “strumenti cosiddetti di democrazia diretta”, è la risposta che Casaleggio dà in un’intervista appunto rilasciata domenica scorsa al quotidiano genovese Il Secolo XIX. «La partitocrazia deve finire grazie a nuovi strumenti di partecipazione popolare. Servono referendum non solo abrogativi ma anche propositivi, dobbiamo avere la possibilità di discutere le nostre leggi, di discuterle con i nostri eletti che mandiamo in Parlamento e non con i segretari dei partiti». Significativo è il ruolo che viene così assegnato ai parlamentari: quello di semplici araldi di scelte e di decisioni irriformabili prese in altra sede. In quanto ai nuovi strumenti di “democrazia diretta” e di “partecipazione popolare”, si tratta di forme di consultazione via Internet del tipo “mi piace” o “non mi piace” che in linea teorica potrebbero a lungo termine diventare anche probanti. Soltanto però dopo sviluppi sul piano sia culturale e sia organizzativo che sono ancora ben di là da venire.
Allo stato attuale delle cose Beppe Grillo è solo un pifferaio di Hamelin molto capace e quindi molto pericoloso, il cui eventuale successo ci indurrebbe inevitabilmente a concludere che si stava meglio quando si stava peggio. Il problema è che gli si può sbarrare la strada solo con un progetto politico orientato con chiaroveggenza e con efficacia alla ricostruzione del Paese. Qualcosa che per il momento non si vede sulla scena, e nemmeno all’orizzonte.