Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL CONCETTO

Psicologia positiva, una causa dello stress da lavoro

Ascolta la versione audio dell'articolo

La psicologia positiva insegna ai dipendenti che è meglio essere felici, piuttosto che obiettivi, e fa dipendere la felicità principalmente da atteggiamento mentale e resilienza. Eppure, sempre più lavoratori occidentali scoppiano…

Editoriali 15_05_2024

Continuiamo a ragionare sul disagio giovanile, in particolare per quanto riguarda il mondo del lavoro (vedi qui un nostro articolo). Il lavoro sembra essere diventato insostenibile e il burnout (esaurimento) lavorativo sempre più frequente; tuttavia, la causa di questo malessere, più che il super-lavoro, sembra essere l’aspettativa – costantemente disattesa – di realizzazione personale attraverso il lavoro. Come si è formata questa aspettativa? Perché il lavoro, da fonte di sostentamento, è diventato il ricettacolo delle aspettative di felicità? Probabilmente, una parte di responsabilità va ricercata nella «psicologia positiva» e nel concetto – ormai familiare – di «resilienza».

La «psicologia positiva» nasce ufficialmente nel 1998 quando il suo autore, lo psicologo statunitense Martin Seligman, divenne presidente dell’American Psychological Association (APA) e si trovò a scegliere una linea guida per il proprio mandato. L’idea fondamentale della psicologia positiva è che la felicità non accade, ma può essere «costruita».

Seligman propone la seguente equazione: H=S+C+V, «dove H (Happiness) è il vostro livello permanente di felicità, S (Set range) è la vostra quota fissa, C rappresenta le circostanze della vostra vita, e V i fattori che dipendono dal vostro controllo». La quota S – non si capisce perché – dipenderebbe dalla genetica e rappresenterebbe almeno il 50% di H; un altro 8-15% sarebbe l’effetto di circostanze esterne; il rimanente (cioè V) si aggirerebbe intorno al 40% circa. Questo significa che le circostanze, secondo Seligman, influiscono molto poco sulla nostra felicità o infelicità: queste dipendono in gran parte da fattori personali, quindi da noi.

In che modo, secondo questo autore, possiamo costruire la nostra felicità? È felice, spiega Seligman, chi è ottimista e l’ottimismo dipende da tre «dimensioni»: pervasività, permanenza e personalizzazione. Siamo ottimisti se consideriamo gli eventi avversi poco pervasivi (cioè riguardanti un aspetto limitato della propria vita) e poco permanenti (“questo brutto periodo finirà”); e se attribuiamo gli eventi avversi a fattori esterni e non a noi stessi. Certo, riconosce Seligman, gli ottimisti distorcono la realtà mentre i pessimisti sono più obiettivi; tuttavia, essere ottimisti ha molti vantaggi riguardanti la scuola, lo sport, la salute e, soprattutto, il lavoro. «I dati indicano comunque che una maggior felicità determina realmente maggior produttività e guadagni più elevati», spiega ne La costruzione della felicità; «l’ottimismo era la chiave del successo delle vendite», afferma in Imparare l’ottimismo.

In effetti, il mondo dell’economia si è mostrato sin dall’inizio molto interessato alla psicologia positiva. Seligman ricorda che, durante la sua presidenza dell’APA, ricevette dapprima un assegno di 120.000 dollari e poi di un milione e mezzo da parte di una fondazione interessata alle sue idee: «La psicologia positiva iniziò a fiorire con quel finanziamento». Come mai una fondazione finanziata da un importante imprenditore statunitense era così interessata alle idee di Seligman? È presto detto: gli «ottimisti» non si scoraggiano mai, vedono le circostanze avverse come occasione di crescita e non come un fallimento, sono duttili e si adattano a qualsiasi circostanza, si auto-motivano continuamente… in una parola: sono resilienti.

La parola «resilienza» deriva dalla meccanica e indica la capacità di un materiale di assorbire gli urti senza rompersi; poi è passata alla psicologia per indicare la capacità di superare eventi traumatici vedendoli come positivi. Il vantaggio di avere dei resilienti in azienda è che possono sopportare qualunque cosa, convinti che felicità e infelicità dipendano sostanzialmente dal loro atteggiamento mentale. La resilienza, insieme a ottimismo, speranza e autoefficacia (la consapevolezza di poter gestire gli accadimenti), è uno dei componenti il «capitale psicologico»; a sua volta, il «capitale psicologico» è una evoluzione recente del concetto di «capitale umano», con il quale si indica l’insieme di conoscenze e competenze (anche relazionali e emotive) da poter utilizzare per massimizzare i profitti.

La psicologia positiva, insomma, è uno strumento per la gestione del personale aziendale: insegna ai dipendenti che è meglio essere felici, piuttosto che obiettivi; e che la loro felicità non dipende da circostanze esterne, ma dal loro atteggiamento mentale. Se vogliono essere felici, devono accettare qualunque situazione lavorativa (o non lavorativa, come il licenziamento e la flessibilità) sforzandosi di vederla come una meravigliosa opportunità di crescita personale. Niente lamentele, come ricorda spesso papa Francesco: entusiasmo e ottimismo. Tutto è ottimo e abbondante, anche a costo di distorcere la realtà.

Così, milioni di lavoratori occidentali si sono trasformati in criceti che corrono in una ruota per inseguire la promessa di una carota – la felicità – che non raggiungeranno mai. Non perché sono vittime di un orribile inganno; ma perché non si impegnano abbastanza, non sono abbastanza ottimisti, perché si lasciano abbattere da eventi esterni. Almeno fino a quando non scoppiano; cosa che, a quanto pare, avviene sempre più frequentemente. Tanto non sono persone, sono «capitale umano»...



great resignation

Italiani in fuga dal lavoro per salvare la salute

Negli ultimi anni il fenomeno in Italia è aumentato vertiginosamente, persino tra chi ha una famiglia da mantenere e quindi al "posto fisso" dovrebbe tenerci. E invece per molti è diventato una giungla da cui si cerca di evadere, costi quel che costi.