Proposte fiscali punitive per il non profit e la previdenza
Nella disperata ricerca di nuove entrate per far quadrare i conti pubblici il Governo non ha trovato di meglio che proporre l’aumento dell’imposizione fiscale sulle rendite finanziarie di soggetti come le fondazioni bancarie e i fondi di previdenza complementare. È l'ennesimo tentativo della politica di mettere le mani sulle fondazioni.
Nella disperata ricerca di nuove entrate per far quadrare i conti pubblici il Governo non ha trovato di meglio che proporre l’aumento dell’imposizione fiscale sulle rendite finanziarie di soggetti come le fondazioni bancarie e i fondi di previdenza complementare. La legge di stabilità per il 2015, che viene discussa in questi giorni in Parlamento, prevede peraltro non solo un aggravio del prelievo sui rendimenti degli investimenti finanziari di questi enti, ma addirittura una entrata in vigore retroattiva di queste nuove imposte in aperta violazione di quello statuto del contribuente che avrebbe dovuto salvaguardare i diritti dei cittadini.Il taglio
Ma al di là dei pur pesanti aspetti tecnico-contabili quello che sorprende negativamente è l’accanimento contro soggetti che svolgono un’attività più che meritoria sul fronte degli interventi sociali. In quell’ottica di sussidiarietà che appare indispensabile di fronte alle crescenti difficoltà da parte dello Stato di garantire interventi adeguati su fronte del welfare e della solidarietà sociale. Una denuncia molto forte di questa realtà è venuta da don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile di Milano, che sulla prima pagina del Corriere della Sera ha pubblicato una lettera aperta al presidente del Consiglio anche nella sua qualità di membro del consiglio di indirizzo della Fondazione Cariplo.
«La nostra Fondazione – dice don Rigoldi - ha di fatto garantito in questi anni risorse importanti per permettere al non profit di liberare le proprie energie migliori per integrare (e a volte per supplire a) tutta una serie di interventi che il pubblico non fa, né sembra prevedibile possa fare in tempi futuri. Ho imparato in Fondazione il rigore e la scelta di progetti che abbiano senso, siano risposta efficace ai bisogni ma anche che possano anticipare modalità di intervento non ancora affermate».
È il caso dell’housing sociale con una serie di interventi che hanno permesso di offrire abitazioni più che dignitose supplendo ai limiti dell’edilizia pubblica. Ma lo spettro di interventi delle fondazioni bancarie è molto ampio: le erogazioni riguardano non solo l’assistenza in senso stretto, ma anche la cultura, la conservazione del patrimonio, le attività educative. Lo scorso anno sono stati 900 i milioni che le fondazioni hanno garantito alla società civile: nel 2015 la falce del fisco ne taglierà 260. La Cariplo, la più grande tra le fondazioni dovrà diminuire di almeno 30 milioni i 150 milioni destinati all’attività filantropica. Migliaia di progetti non si potranno più realizzare, molte associazioni di volontariato si troveranno in difficoltà, iniziative assistenziali dovranno essere cancellate, importanti realtà culturali (come il Museo egizio di Torino) vedono minacciata la loro stessa esistenza.
La ricchezza “sociale”, e la relativa libertà di azione, delle fondazioni bancarie probabilmente dà fastidio a qualcuno. Già il Governo Berlusconi-Tremonti aveva tentato di portare sotto l’ombrello della politica questi enti: è arrivata fortunatamente la Corte costituzionale a definire l’identità delle Fondazioni bancarie come appartenenti a «soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali» privati e autonomi. Ma l’attacco del Governo Renzi-Padoan, se non intacca la dimensione giuridica, potrà avere tuttavia l’effetto di ridurre in maniera significativa le possibilità di intervento di questi enti.
Dobbiamo ricordare che le fondazioni bancarie sono enti creati all’inizio degli anni ’90 per permettere che le Casse di risparmio e ad altre banche, allora di diritto pubblico, potessero entrare nel novero dei soggetti privati e quindi confrontarsi ad armi pari sul mercato. Il patrimonio di queste casse di risparmio, accumulato negli anni attraverso la presenza di queste banche sul territorio, è stato quindi conferito a fondazioni di nuova istituzione che avrebbero potuto continuare l’impegno sociale delle banche separando nettamente l’attività creditizia con quella filantropica.
La scelta si è rivelata positiva su entrambi i fronti. Le banche hanno potuto attuare strategie di crescita e di confronto aperto con il mercato: Banca Intesa è ora una delle maggiori e più quotate banche europee. Le fondazioni hanno potuto, con strutture agili e con amministratori espressi dalla società civile, mantenere una forte attività di attenzione e di sostegno sociale.
Non si può dimenticare che quasi tutte le fondazioni hanno progressivamente ceduto il controllo delle banche, mantenendo solo quote di minoranza, senza alcuna possibilità di influire sulla gestione e le strategie, diversificando quindi e rendendo anche più sicuro il proprio patrimonio. E le fondazioni hanno potuto così mantenere l’ispirazione originaria: la Cariplo era stata fondata nel 1816 dalla Commissione centrale di beneficenza proprio «per dare lavoro ai poveri».
La sussidiarietà, i legami con il territorio, gli interventi sociali probabilmente non piacciono alla politica statalistica e accentratrice, una politica che spesso accomuna la destra e la sinistra. Ma è una politica miope che rischia di non capire più la società e non può stupire che dalla società ottenga distacco e disaffezione.