Pro Vita, Zagrebelsky e la (vera) libertà
In un editoriale Zagrebelsky auspica, in nome della libertà d’espressione, che non vengano censurati gli ultimi manifesti di Pro Vita. Il giurista, iperlaicista, dice una cosa giusta ma per motivi errati. La libertà è autentica quando si fonda sul vero e il bene. In un ordinamento giuridico conforme al diritto naturale, non sarebbe lecito propagandare l’errore e il male (come l’aborto).
“Potere alle donne? Facciamole nascere”. Questo è lo slogan che campeggia sui manifesti dell’associazione Pro Vita & Famiglia, affissi in alcune vie di Torino, in cui sullo sfondo compare un feto. Simili manifesti sono già comparsi in altre città italiane: Roma, Bari, Palermo, Bologna, Napoli e Milano. Il Comune di Roma nel 2018 ne ordinò la rimozione perché tali affissioni risultavano “offensive, violente, discriminanti”. L’assessore alle Politiche sociali e Pari Opportunità del comune di Torino, Jacopo Rosatelli, ha reagito stizzito: «Nella nostra città sono comparsi manifesti orrendi. La campagna pubblicitaria dell’associazione Pro Vita e Famiglia veicola un messaggio reazionario e antistorico». Sulla stessa frequenza d’onda anche tanti altri politici locali, gruppi di femministe e realtà pro-choice.
In difesa della campagna di Pro Vita è invece sceso in campo l’ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, Vladimiro Zagrebelsky, giurista non certo cattolico e iperlaicista. Il 25 maggio scorso quest’ultimo ha scritto un editoriale su La Stampa a tutela della libertà di espressione dei pro life, editoriale in più parti identico ad un altro che scrisse sempre su La Stampa nel 2018 e sempre in occasione di alcuni manifesti di Pro Vita apparsi e poi fatti rimuovere nella Capitale. Nell’articolo dell’altro giorno si potevano leggere le seguenti affermazioni: “La critica delle leggi è ovviamente libera, così come lo è la proposta di modificarle, per restringerne la portata o per allargarla. Non solo, ma libera è anche la propaganda diretta a non usufruire di possibilità che la legge ammette”. Zagrebelsky poi si espone affermando che lo slogan incriminato “non ha nulla di violento o offensivo” e quindi conclude che “oggi è ancor più indispensabile tenere il punto e non concedere nulla alle pretese della intolleranza”.
Dopo una lettura assai discutibile della 194, dopo il richiamo all’errato principio giurisprudenziale del bilanciamento degli interessi contrapposti in materia di aborto e dopo una stoccatina al mondo pro life che ospita in sé anche frange estreme, Zagrebelsky chiude il pezzo dichiarando che “qualunque posizione si abbia sul tema dell’aborto, in difesa della libertà di opinione e di espressione, in difesa della democrazia, c’è da sperare di non dover assistere ad un atto di censura da parte dell’autorità pubblica”.
Zagrebelsky dice una cosa giusta - non togliete i manifesti di Pro Vita - ma per motivi errati. La libertà di espressione è una declinazione particolare della libertà intesa in senso generale. Ora, quando il nostro libero arbitrio abbraccia il vero e il bene prende il nome di libertà. Infatti è la verità a farci liberi, come ricorda Gesù, non certo l’errore. Quindi non si può dare libertà senza verità e bontà, perché il nostro libero arbitrio - inteso come possibilità di scelta tra il bene e il male - non può che essere usato in funzione del vero e del bene. Da ciò discende che non si può predicare la libertà di uccidere, rubare e mentire. Se dunque la libertà non può andare a braccetto con l’errore e il male, da ciò consegue che, ad esempio, non può esistere la libertà di dichiararsi a favore dell’aborto e di far propaganda a tale pratica, perché l’aborto è un male morale e quindi non è lecito appoggiare l’aborto. Si può invece essere liberi di dichiararsi contro l’aborto e far propaganda contro esso. Da ciò consegue che, sul piano morale e così dovrebbe essere anche sul piano giuridico, non esiste libertà di espressione in riferimento all’appoggio dell’aborto, ma può esistere solo libertà di espressione contro l’aborto e a favore della vita. Non si può predicare il diritto a diffondere l’errore, ma solo la verità.
Ciò detto, la maggior parte delle persone invece aborrisce l’idea che una persona, a favore ad esempio dell’aborto, dovrebbe tacere e non diffondere simili idee. Questo avviene perché - ed è questa la posizione di Zagrebelsky - da una parte si è sacralizzata l’idea di libertà al di là del contenuto della libertà stessa (ossia al di là del fine per cui si usa il proprio libero arbitrio) e su altro fronte alcune tematiche paiono essere meramente opinabili e quindi soggette alla libera discussione. Ma queste persone si trovano in difficoltà allorché si applica il principio della libertà di parola a condotte che, almeno ad oggi, suscitano riprovazione collettiva: l’infanticidio, la pedofilia, la violenza sulle donne, l’incesto, lo sfruttamento del lavoro minorile e simili. In questi casi, in modo schizofrenico, la maggior parte delle persone è in genere concorde che non si possa applicare la libertà di parola: chi è favore di tali pratiche dovrebbe solo essere ridotto al silenzio, così si sostiene, e di certo a lui non dovrebbe essere offerto nessuno spazio di propaganda sui media. I casi dell’infanticidio, della pedofilia, della violenza sulle donne, dello sfruttamento del lavoro minorile, etc. sono allora molto utili per far comprendere che la libertà di parola, di per sé, non è un valore, ma lo diviene solo in relazione all’oggetto della libertà medesima.
E sul piano giuridico? Il nostro ordinamento giuridico è come se fosse una persona che ha le proprie idee. Alcune condotte le considera illegittime e dunque vieta di parlarne bene, altre le qualifica come buone e altre ancora come neutre e quindi permette, in relazione ad esse, di esercitare la libertà di parola. Sulle prime scatta l’art. 414 del Codice penale che sanziona chi istiga a commettere un reato - e questo può avvenire anche a mezzo stampa - oppure chi fa l’apologia di uno o più delitti, ossia chi parla a favore di una condotta ritenuta illecita dal nostro ordinamento giuridico. Dunque, da una parte, l’ordinamento giuridico si rifà al principio che la libertà di parola può essere esercitata solo in relazione a ciò che è buono e vero, su altro versante però - e qui sta il problema più grosso - spesso considera buono e vero ciò che non lo è: vedi aborto, eutanasia, divorzio, fecondazione artificiale, unioni civili, etc.
Posto che un ordinamento giuridico conforme al diritto naturale non legittimerebbe mai simili condotte, sorge però una domanda: come si dovrebbe comportare nei confronti di quei cittadini che ad esempio, nonostante il divieto di abortire, di praticare l’eutanasia, etc., facessero propaganda per l’aborto, l’eutanasia, etc.? L’ordinamento dovrebbe seguire il principio di proporzione o efficacia, ossia verificare se il divieto di propaganda sia più utile per il bene comune rispetto alla mera tolleranza della stessa (riprovazione senza sanzione). Cosa apporterebbe più vantaggi o più danni al bene comune? Essendo condotte così grandemente lesive del bene comune - al pari della violenza sulle donne e dello sfruttamento dei minori - nella generalità dei casi andrebbe vietata non solo la condotta, ma anche la stessa propaganda. Se è vietato fare l’apologia dell’omicidio perché permetterla a favore dell’omicidio prenatale? Va da sé che questo è uno scenario quasi fantastico dato che prima, ben prima, occorrerebbe vietare simili condotte.