Preti «di strada», s'avanza il pensiero unico
Le dichiarazioni e i commenti che hanno accompagnato la decisione di affidare a quattro sacerdoti definiti «di strada» il commento del vangelo su Rai Uno, allargano il disagio di sacerdoti e vescovi che vedono ridotta la missione della Chiesa a una sola modalità, espressione di opzioni culturali e politiche legittime ma opinabili.
Alcuni giorni fa avevamo parlato di mal di pancia nell’episcopato italiano, ora pare che il malessere si stia estendendo a tutto il clero. E sì, perché il grande strombazzare nei giorni scorsi a proposito dei quattro preti definiti “di strada” – don Luigi Ciotti, don Vinicio Albanesi, don Gino Rigoldi, don Maurizio Patriciello - che da adesso commenteranno il Vangelo su Rai Uno (clicca qui), nel programma “A sua immagine”, ha provocato non poco disagio in tanti confratelli. Invidia? Niente affatto: a parte i quattro e pochi altri non è che normalmente i preti abbiano la smania di andare in tv. Però alla dignità del loro sacerdozio ci tengono.
E allora immaginiamo cosa devono aver provato quelle migliaia di sacerdoti con 20-30, oltre 50 anni di messa, che non sono mai andati in cerca né di strade né di periferie, ma che le loro strade e le loro periferie le hanno vissute accompagnando il popolo di Dio con cuore e intelligenza secondo le indicazioni dei rispettivi vescovi. Sentire il segretario della CEI, monsignor Nunzio Galantino, affermare a proposito dei “quattro” che in questo modo «si vuole tradurre in fatti e immagini ciò che Papa Francesco ci chiede senza sosta: quello di essere chiese in uscita e allora anche televisione in uscita», non deve essere stato piacevole. Chiesa in uscita identificata con una sola modalità di presenza, peggio: con chi ha identificato il sacerdozio con alcune scelte di carattere sociale e politico. Non bisogna infatti dimenticare che anche fra i sacerdoti impegnati in opere sociali non tutti condividono le connotazioni culturali di Ciotti e compagni.
Il giudizio che ha accompagnato questa scelta televisiva equivale a stabilire una graduatoria tra preti “di strada e di periferie” e preti delle istituzioni: preti di serie A e preti di serie B. Tra l’altro quello di serie A - o definito tale - è il clero che fino a qualche anno fa nelle diocesi e al centro della Chiesa italiana ha rappresentato il punto di riferimento per la polemica dura nei confronti del pontificato e della gerarchia della Chiesa. E con la presunzione che chi non faceva certe scelte di carattere sociale e politico non era adeguatamente impegnato come cristiano. Ora, il messaggio inviato dalla CEI è che quelle scelte di carattere sociale e politico sono diventate un elemento di merito per poter accedere al commento dei vangeli in una struttura e un programma televisivo, che ha l’imprimatur dell’episcopato italiano.
La scelta di impegnare la Chiesa su certe opzioni politiche e culturali è grave. Certe opzioni sono ovviamente legittime ma anche opinabili, significa appiattire la ricchezza della Chiesa (basti pensare ai movimenti ecclesiali) su una sola modalità, espressione peraltro di una visione teologica e pastorale “progressista”, ma culturalmente subalterna ai poteri dominanti, ideologici e massmediatici. Basta vedere la notorietà attribuita loro in questi anni dai media laici e generalmente anti-cattolici.
Non a caso a provocare disagio in tanti preti sono anche le dichiarazioni di alcuni dei quattro scelti per la trasmissione RAI, come se finora fossero stati emarginati o tenuti nell’anonimato, quando invece godono da tanti anni di una visibilità mediatica straordinaria. Forse non saranno stati spesso invitati nelle trasmissioni gestite dalla CEI, ma si può dire che almeno lì c’era la possibilità di ascoltare anche altre voci della Chiesa: ora invece sembra stendersi l’ombra del pensiero unico.
C’è un ultimo aspetto che inquieta vescovi e non solo, ovvero il ruolo del segretario generale della CEI, che sembra essersi assunto anche funzioni di carattere magisteriale. Si ricorda che non è questo il suo compito istituzionale, che è invece limitato a funzioni organizzative e di coordinamento. L’episodio dei preti in tv è solo l’ultimo di una serie di interventi mal digeriti, al punto che ci si può aspettare prossimamente la richiesta di un chiarimento che riporti la segreteria a fare la segreteria anziché impegnare l’intero episcopato italiano in opzioni e scelte – soprattutto nel rapporto Chiesa-mondo -, che non possono essere considerate esclusive.