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CAMBIATE L'AUTOCERTIFICAZIONE

Pregare in chiesa si può: il culto è uno stato di necessità

Carabinieri interrompono una Messa a Napoli; a Cremona fermato un fedele. Abusi di potere che i vescovi non denunciano. Eppure le chiese sono aperte e la preghiera è consentita. Il magistrato Rocchi: «Basta leggere la Direttiva del Viminale e comunicare che si esercita un diritto primario. Nessuna norma può autorizzare l'interruzione di una Messa, così è Stato di polizia». Ristabilire il diritto di culto: ecco perché l'autocertifcazione deve cambiare.
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Attualità 24_03_2020

Si susseguono in tutto il Paese i casi di fedeli rifiutati all’ingresso delle chiese: a Cremona, Forze dell'Ordine armate fino ai denti che intimano l’Alt a chi – pur provvisto di autocertificazione – comunica l’intenzione di voler andare in chiesa. Oppure le interruzioni di Messe. Dopo il caso di Cerveteri, l’ultimo in ordine di apparizione è stato quanto accaduto sabato a Sant’Anastasìa, comune vesuviano dell’hinterland napoletano, dove gli uomini dell’Arma sono entrati in chiesa, hanno interrotto la Messa conventuale che si stava celebrando alla presenza di uno sparuto gruppo di fedeli, ben distanziati tra loro, e hanno provveduto a denunciare gli occupanti.

Episodi di questo tipo si rincorrono e non sembrano trovare l’indignazione sufficiente dei vescovi per poter assurgere all’onore delle cronache. Quasi che una pesante limitazione del culto, sia in fondo un obolo da pagare al controllo dello Stato nella battaglia al Coronavirus

Ma le cose stanno così? Possono gli agenti di polizia interrompere le Messe e denunciare i fedeli? Ed è lecito fermare una persona che si reca in chiesa a pregare, impedendole così di esercitare quella libertà di culto che in altri contesti nessuno – neanche un agente di pubblica sicurezza – avrebbe mai messo in discussione?

La risposta a tutti i quesiti è no. 

In questo caso a farne le spese sono quei fedeli che lamentano l’assenza di una specifica definizione di “stato di necessità” dentro le casistiche previste dal Governo per poter uscire di casa: salute, lavoro o qualsiasi altra necessità.

Domanda: quella di culto può essere classificata come una necessità?

La Nuova BQ lo ha chiesto al giudice e membro del Centro Studi Livatino Giacomo Rocchi (in foto), il quale, ha provato a mettersi “nei panni” di un avvocato che deve difendere quei fedeli che si vedono respinti dai templi cattolici.  «Il punto critico è che le chiese sono aperte – spiega Rocchi -, ma non sono indicate esplicitamente negli stati di necessità le motivazioni cultuali o spirituali per poter giustificare un’uscita per la preghiera personale in chiesa».

Che fare? Secondo Rocchi la materia va analizzata. Anzitutto partendo dal primo Dpcm che disciplina la sospensione delle Messe, quello dell’8 marzo, ma contestualmente tiene aperte le chiese: «il comma “i” dell’articolo 1 del decreto è rivolto ai gestori delle chiese o dei luoghi di culto. Ed è lì che vengono elencate le condizioni per poter tenere aperte le chiese. Aperte, purché non si producano assembramenti e siano garantite le distanze di sicurezza e purché non si svolgano cerimonie religiose». 

Dunque, le chiese devono restare aperte, in questo senso è sbagliato dire quello che alcuni militari hanno comunicato ad alcuni fedeli e cioè che “le chiese sono chiuse”. «Se avessero voluto indicare la chiusura lo avrebbero fatto, come hanno fatto al comma f per le stazioni sciistiche», prosegue Rocchi facendo notare anche il «“pasticcio” di Roma, dove le chiese erano state chiuse per un giorno, ma senza che nessuno dal governo l’avesse chiesto al vicario dell’Urbe, è stato risolto proprio tenendo conto di questo».

Appurato che le chiese sono aperte e tali devono rimanere – c’è anche una comunicazione specifica sul sito dell’Interno – è necessario ora trovare il modo di mandarci dentro i fedeli – rispettando le regole igienico-sociali – senza farli sentire come criminali in libera uscita. «E qui – spiega il magistrato toscano – dobbiamo andare oltre il comma “a” dell’articolo 1 dello stesso Dpcm che parla genericamente di “situazioni di necessità”. Per poter entrare nel dettaglio delle situazioni di necessità dobbiamo rifarci alla direttiva del ministro Lamorgese che porta la stessa data dell’8 marzo e che definisce in “situazioni di necessità” quelle che «in sostanza, devono essere identificate in quelle ipotesi in cui lo spostamento è preordinato allo svolgimento di un'attività̀ indispensabile per tutelare un diritto primario non altrimenti efficacemente tutelabile».

Ecco trovata la chiave: «Questa è una norma che – stando al nostro caso delle chiese - si rivolge non ai gestori, ma alle persone. Evidentemente la persona che vuole andare in chiesa lo fa per una situazione di necessità perché stiamo parlando dell’esercizio di un diritto primario non altrimenti efficacemente tutelabile perché è evidente che il Tabernacolo si trova solo in chiesa». Quindi il diritto di culto è lo stesso sancito e tutelato tanto dall’articolo 19 della Costituzione quanto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che all’articolo 9 definisce la libertà di culto in ambito pubblico o privato, individualmente o collettivamente».

Si tratta di una interpretazione molto impegnativa perché ad oggi non è prevista una motivazione del genere nel modulo da consegnare alle forze dell’ordine quindi «il fedele deve essere pronto a difendere il suo stato di necessità anche a fronte delle obiezioni del carabiniere spiegando che non sta facendo altro che esercitare un diritto primario, quello di culto, sapendo che si è scoperti anche del “paracadute” offerto dai vescovi». È una strada percorribile? Sì, a patto che il fedele sia disposto ad affrontare anche l’eventuale abuso da parte delle forze dell’ordine o il loro eccesso di zelo.

Eccesso di zelo che si ritrova anche nei deplorevoli episodi di irruzione delle forze dell’ordine nelle chiese durante le Messe.  «Il fatto è che non c’è nessuna norma che autorizzi ad interrompere una funzione religiosa – spiega Rocchi – è evidente che si tratta di un palese abuso, anche se si fa davvero fatica ad inquadrarlo perché qui andiamo oltre anche la mens del Concordato e dei Padri Costituenti. Potrebbe essere un’attuazione da stato poliziesco per eccesso di zelo di funzionari di polizia. Un qualche cosa di oggettivatamene nuovo – e grave – nel panorama delle limitazioni alla libertà».

In conclusione: dato che il governo ha già modificato l’autocertificazione tre volte (ieri l’ultima volta), è impellente che lo faccia anche in ordine alla definizione di un nuovo stato di necessità: quello di culto. Come abbiamo visto il diritto è dalla parte dei fedeli.