Polonia, la Corte dice no alle angherie di Bruxelles
La Corte Costituzionale polacca ha stabilito che il diritto comunitario non ha un primato assoluto sull’ordinamento interno ma è limitato alle competenze delegate a Bruxelles. L’opposizione e i media agitano lo spauracchio della Polexit, che il Pis però esclude. E intanto l'Ue, da Sassoli alla von der Leyen, torna a minacciare.
La Polonia ha deciso di rispondere alle continue angherie di Commissione, Corte di Giustizia e Parlamento dell’Unione europea. Commissione e Parlamento reagiscono duramente, mentre il presidente del Consiglio dell'Ue, lo sloveno Janez Janša, accusa entrambe le istituzioni comunitarie di agire in ragione di esclusivi interessi politici. Ma andiamo con ordine.
Il 7 ottobre la Corte Costituzionale polacca, dopo diversi rinvii nell’ultimo mese, ha finalmente deciso: il primato del diritto comunitario non è più incondizionato in Polonia, ed è piuttosto strettamente limitato alle competenze delegate all’Ue. Allo stesso tempo, il Tribunale costituzionale polacco ha messo in discussione il principio della cooperazione leale e sincera.
In particolare, se l’«attivismo progressivo» della Corte di Giustizia dell’Ue dovesse continuare (ovvero entrare con le sue sentenze nelle competenze esclusive degli organi statali polacchi; minare il primato della Costituzione come atto giuridico di rango superiore dell’ordinamento polacco; mettere in discussione la validità universale e la definitività delle sentenze del Tribunale; infine quando metterà in discussione lo status dei giudici del Tribunale), la Corte Costituzionale polacca interverrà per rimuovere le decisioni della Corte europea dall’ordinamento polacco.
Inoltre la Corte polacca ha stabilito che alcune interpretazioni dei Trattati da parte della Corte comunitaria sono sbagliate in quanto «tra le competenze trasferite dalla Polonia all’Ue non c’è nessuna competenza relativa alla creazione o all’organizzazione o al sistema della magistratura». La sentenza della Corte Costituzionale, sulla prevalenza o meno della Costituzione polacca sulle norme e decisioni europee, era stata richiesta dal primo ministro Mateusz Morawiecki nel marzo scorso. Per il ministro della Giustizia e leader di Solidarność Polonia, Zbigniew Ziobro, «il Tribunale costituzionale ha posto una barriera all’anarchizzazione del sistema giudiziario e dell’intero Stato e confermato il primato della Costituzione polacca sul diritto comunitario».
Secondo l’opposizione, il passo è un conto alla rovescia per la Polexit e l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha invitato «tutti coloro che vogliono difendere la Polonia europea» a una protesta di massa a Varsavia domenica 10 ottobre.
Il leader del partito cristiano di governo Pis, Jarosław Kaczyński, che dal mese scorso ha escluso qualsiasi piano per portare il suo Paese fuori dall’Ue, e bollato «tali affermazioni come un trucco della propaganda delle opposizioni», si è compiaciuto della sentenza della Corte Costituzionale polacca riaffermando che «nei settori in cui non abbiamo accettato di consegnare anche solo alcuni dei poteri all’Ue, si applicano solo le regole polacche e l’Ue non ha voce in capitolo e non può interferire, per esempio, nell’organizzazione del sistema giudiziario».
La propaganda dei mass media internazionali (Euractiv, Guardian, Politico) sostiene lo spauracchio della Polexit, l’unico falso argomento agitato dalle opposizioni polacche nella speranza di vincere le elezioni politiche del 2022. La decisione della Corte polacca cade comunque in un contesto particolarmente delicato, in cui la Commissione europea sta ancora valutando il piano di recupero e di resilienza di Polonia e Ungheria, la cui approvazione è stata ritardata più volte. La stessa Commissione, gettando benzina sul fuoco, ha minacciato nei giorni scorsi di approvare i piani solo includendo una lunga lista di condizioni vincolanti. Un meccanismo mai utilizzato in precedenza, che subordina la ricezione di fondi europei al rispetto di una propria interpretazione dello “Stato di diritto” e che ha provocato forti reazioni da Varsavia e Budapest, unici due governi europei ad opporsi alla colonizzazione Lgbt e a difendere la propria peculiare identità.
In questo quadro, l’intervista del 6 ottobre del premier sloveno Janez Janša, attuale presidente del Consiglio dell’Unione europea, è un chiaro ‘stop’ nei confronti dei soprusi della Commissione. Parlando con Euronews, il presidente Janša, dopo aver aspramente criticato i commissari Vera Jourová e Didier Reynders, ha detto: «La Commissione europea eccede i propri poteri nella definizione dello ‘’Stato di diritto”, anzi la stessa Commissione è vicina a violare lo stato di diritto» e lo usa per «battaglie politiche» contro gli Stati membri, dimenticando il proprio ruolo di «onesto mediatore». Affermazioni fortissime del presidente di turno del Consiglio dell’Ue, che ha aggiunto: «Abbiamo la Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite. Abbiamo una Carta europea dei diritti umani, ma nel linguaggio politico, specialmente nel Parlamento europeo, ognuno può aggiungere a questa lista quello che vuole… la Commissione europea dovrebbe rimanere fuori dalle battaglie politiche, cosa che è avvenuta fino alla Commissione Juncker. E poi questo è cambiato».
Abbiamo descritto sin dall’estate 2019 le manovre delle lobby e i patti scellerati che hanno portato alla nomina di Ursula von der Leyen, dei commissari e dei vicepresidenti della Commissione: accordi ad excludendum, con l’obiettivo di socialisti, liberali, sinistre e Soros di eliminare i governi cristiani di Polonia e Ungheria e omologare tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale ai nuovi dogmi relativisti.
Perciò non stupiscono le reazioni scomposte del presidente socialista del Parlamento europeo David Sassoli che ha invitato ad una forte reazione della Commissione contro la Polonia, e il comunicato ufficiale della von der Leyen che si erge a paladina dei diritti dei cittadini polacchi e promette di usare “tutti i poteri” per garantire la supremazia assoluta delle sentenze e delle norme europee sulla Costituzione e leggi polacche. C’è un’Europa, vecchia e sfibrata dal relativismo, che vuol ricostruire un muro di separazione con altri popoli e Paesi europei che non accettano di essere omologati al “pensiero unico” anticristiano.
La Polonia non deve essere lasciata sola in questa difesa della propria identità e, allo stesso tempo, dei Trattati europei. In tutto ciò, i popolari europei devono decidere se subire in silenzio la contemporanea aggressione contro di loro, scatenata da socialisti, liberali e verdi (il socialista Olaf Scholz guiderà probabilmente la Germania con una coalizione di liberali e verdi; i liberali hanno sfiduciato il premier popolare Vasile Cîțu e il suo governo in Romania; i verdi sono prossimi alla sfiducia nei confronti del premier austriaco e popolare Sebastian Kurz) o difendere la propria identità e le radici europee.