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Plinio il Giovane e le lettere con Traiano sui cristiani

Nell'epistolario di Plinio il Giovane vi sono lettere che rivestono un’importanza storica notevole, tra cui lo scambio con l'imperatore Traiano relativo a come affrontare la questione dei cristiani. Questo carteggio è particolarmente interessante, perché è la conferma della diffusione incredibile del cristianesimo già all’inizio del II secolo.           

Cultura 28_04_2019

Nato a Como nel 61 o nel 62 d. C., quando morì il padre, Gaio Plinio Cecilio Secondo, noto come Plinio il Giovane, venne affidato allo zio materno Plinio il Vecchio per l’educazione e il mantenimento. Lo zio lo adottò, lo portò con sé a Roma e gli permise di frequentare la scuola di retorica di Quintiliano. Fece, poi, una brillante carriera e completò il cursus honorum arrivando a ricoprire la carica di console nel 100, sotto l’imperatore Traiano, a cui si strinse in legame di amicizia e di cui divenne addirittura consigliere personale. Nel 111 divenne governatore del Ponto e della Bitinia, probabilmente fino al 113, anno dopo il quale non si hanno più notizie.

Se nel Panegyricus, in occasione dell’elezione a console, Plinio il Giovane ringrazia l’imperatore Traiano e lo esalta come optimus princeps, negli Epistularum libri lo scrittore affronta argomenti differenti con piacevolezza e leggiadria espressiva improntando il tono a una conversazione colta tra amici. Così, per lo meno accade nei primi nove libri.

Il X libro, invece, pubblicato postumo, contiene le lettere del carteggio tra Plinio e l’imperatore Traiano. Il governatore della Bitinia deve affrontare i problemi dell’amministrazione di una provincia e, spesso, riferisce nelle lettere anche le più piccole inezie, con un resoconto puntuale e completo di tutto quanto accade in quelle terre lontane da Roma. Non tutte le questioni rivestono la stessa importanza, alcune appaiono del tutto irrilevanti, tanto che l’imperatore sembra quasi esprimere il disappunto per la meticolosità e l’esagerazione con cui Plinio riferisce i fatti.

Vi sono, invece, altre lettere che rivestono un’importanza storica notevole, ad esempio quelle relative a processi o a opere pubbliche da realizzare o ancora il carteggio relativo a come affrontare la questione dei cristiani.            

Nell’epistola 96 del X libro, Plinio il Giovane espone all’imperatore Traiano i suoi dubbi e le perplessità nei confronti dei cristiani:

È per me abituale, signore, riferire presso di te tutti i problemi sui quali ho dei dubbi. Chi infatti può meglio o sorreggere la mia esitazione o colmare la mia ignoranza? A istruttorie sui Cristiani non ho mai partecipato: perciò non so che cosa e fino a che punto di solito o si punisca o si indaghi. Né poco mi sono chiesto se ci sia una qualche differenza tra le età, oppure se persone per quanto giovani non differiscano per nulla da quelle più adulte; se si conceda perdono al pentimento, oppure se a colui che è stato certamente Cristiano non giovi il fatto di aver smesso; se si punisca il nome stesso anche se è libero da reati oppure i reati connessi col nome.

Il funzionario spiega, poi, all’imperatore la prassi che fino a quel momento ha tenuto:

Nel frattempo nei confronti di coloro che venivano deferiti a me come Cristiani ho seguito questo comportamento. Ho chiesto loro direttamente se fossero Cristiani: a quelli che confessavano ho chiesto per la seconda e la terza volta, minacciando la condanna a morte: coloro che perseveravano ho ordinato che fossero condotti a morte. Né, infatti, dubitavo che, qualunque cosa fosse quello che confessavano, dovesse certamente essere punita la caparbietà e l’inflessibile ostinazione.


Plinio offre, quindi, la possibilità ai cristiani di ritrattare. Nel caso in cui non lo facciano li condanna a morte, per la loro caparbietà. Plinio presenta poi i differenti casi che gli si sono presentati:

Ce ne furono altri di simile follia che, siccome erano cittadini romani, ho disposto che fossero rimandati a Roma; poi, com’è solito accadere, nell'inchiesta stessa, diffondendosi l'accusa, si presentarono parecchie situazioni. Fu presentata una denuncia senza nome contenente i nomi di molti. Coloro che negavano di essere Cristiani o di esserlo stati, nel caso in cui, dietro mio suggerimento, invocassero gli dei e supplicassero con incenso e vino davanti alla tua immagine che avevo ordinato fosse portata per questo scopo con le statue degli dei, e inoltre rinnegassero Cristo (a nessuna delle quali azioni si dice possano essere costretti coloro che sono veramente Cristiani) io ho ritenuto che dovessero essere rilasciati. Altri, citati da un accusatore, dissero di essere Cristiani e poi lo negarono; dicevano di esserlo stati in verità, ma di aver smesso, alcuni tre anni prima, alcuni da più anni, alcuni addirittura anche da vent'anni. Anche tutti questi sia hanno adorato la tua immagine e le statue degli dei sia hanno rinnegato Cristo.


Plinio il Giovane riporta, poi, le confessioni dei cristiani che riconoscono quali siano le uniche colpe di cui possono essere accusati: l’abitudine «di riunirsi in un giorno stabilito prima dell'alba e di cantare fra loro alternatamente un inno a Cristo, come a un dio»; il giuramento di non commettere «furti, non ruberie, non adulteri, a non mancare alla promessa, a non negare, se chiamati, il deposito»; «l’abitudine di andarsene e di riunirsi di nuovo per prendere del cibo, e tuttavia comune e innocente».

In pratica, il governatore afferma che non ci sono colpe da attribuirsi ai cristiani, percepisce la loro stranezza, la loro diversità, come quella di impegnarsi a comportarsi bene e ad amare il prossimo oppure quella di dividere insieme il pane. Plinio non ha trovato «nient’altro che una superstizione inopportuna, smodata». La lettera è particolarmente interessante, perché è la conferma della diffusione incredibile del cristianesimo già all’inizio del II secolo anche nelle province romane, non solo nelle città, ma anche nelle campagne. Scrive, infatti, Plinio:

Mi è sembrata, infatti, cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero delle persone coinvolte nel pericolo. Molti, infatti, di ogni età, di ogni livello sociale, di entrambi i sessi ancora vengono trascinati e saranno trascinati nel pericolo. Né, infatti, solo le città, ma anche i villaggi e le campagne ha invaso il contagio di questa superstizione; che sembra possa essere frenata e corretta.


Ecco la risposta estremamente sintetica dell’imperatore Traiano:

Nell’istruire i processi di coloro che erano stati a te deferiti in quanto Cristiani hai seguito, mio Secondo, il procedimento che dovevi. E, infatti, non si può stabilire qualcosa in generale che abbia quasi una forma inderogabile. Non devono essere ricercati; se vengono denunciati e dimostrati colpevoli, sono da punire, tuttavia in modo tale che colui che abbia negato di essere Cristiano e lo abbia dimostrato con i fatti, cioè supplicando i nostri dei, benché sospetto in passato, ottenga il perdono in seguito al pentimento. I libelli presentati poi senza firma non devono avere spazio in nessuna accusa. Infatti sia è cosa di pessimo comportamento sia non degna della nostra epoca. (Epistulae X, 97)

Il colloquio epistolare tra Plinio e Traiano dimostra l’esigenza di una normativa nei confronti dei cristiani e del loro culto, considerata la diffusione della nuova religione in molte terre dell’impero.

L’atteggiamento degli imperatori successivi, Adriano e Antonino Pio, fu molto indulgente nei confronti dei cristiani. Il rescritto di Traiano rappresentò una norma da seguire per molti decenni. A parte alcune parentesi, con martiri anche famosi (per esempio Felicita e Perpetua, Ippolito e Ponziano), i cristiani non furono ricercati e perseguitati in modo sistematico fino al 250, quando l’imperatore Decio costrinse tutti i cittadini romani a venerare gli dei pagani, pena la condanna a morte. Iniziarono così feroci persecuzioni.