Pietro e Paolo, Principi della fede nel trittico di Giotto
I santi Pietro e Paolo sono i Principi della fede e dunque immancabili protagonisti di numerosissime opere d’arte. Spesso, parallelamente, troviamo raccontati i loro martirii che la tradizione agiografica sostiene essere avvenuti nella Città Eterna. Così li celebra Giotto di Bondone in un famoso polittico che realizzò nel 1320
Pietro apostolo e Paolo dottore delle genti hanno insegnato a noi la tua legge, Signore. (Antifona d’ingresso festività dei SS. Pietro e Paolo)
I Principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, vantano un’iconografia di tutto rispetto che risale ai primi secoli dell’era cristiana. Se all’inizio le loro fisionomie mostravano caratteri piuttosto anonimi, dall’epoca costantiniana in poi andarono sempre più definendosi assumendo connotati realistici, specchio del temperamento dei due uomini. Pietro, barba bianca e capigliatura folta, acquisì tratti del viso più marcati e decisi, Paolo, che testi apocrifi descrivono come piccolo, calvo e vigoroso, cominciò ad assomigliare a un filosofo ricco di grazia. Le chiavi per l’uno e la spada per l’altro sono gli attributi iconografici più ricorrenti.
Sono i Principi della fede e dunque immancabili protagonisti di numerosissime opere d’arte. Talvolta compaiono insieme, in posizione simmetrica, mentre si abbracciano sulle porte di Roma esprimendo, così, la concordia tra le due chiese, quella d’Occidente e quella d’Oriente. Spesso, parallelamente, troviamo raccontati i loro martirii che la tradizione agiografica sostiene essere avvenuti nella Città Eterna, durante il regno di Nerone, in un anno compreso tra il 64 e il 67. Lo stesso giorno, il 29 giugno.
Così li celebra Giotto di Bondone in un famoso polittico che realizzò nel 1320 per l’altare maggiore dell’antica Basilica di San Pietro a Roma, oggi conservato alla Pinacoteca Vaticana. Commissionato dal cardinale Stefaneschi, da cui prende il nome, doveva essere visto da entrambi i lati, offerto, da una parte, alla vista dei fedeli e, dall’altra, ai canonici officianti.
Il trittico si concentra sulla forza delle figure di Pietro e Paolo: sul lato frontale il primo Papa è circondato da angeli e offerenti - tra cui il cardinale che gli porge il modellino del dipinto - mentre, sui lati, si dispongono i principali santi. Sul recto, il pannello centrale è occupato da Cristo assiso in trono, cui fanno da ali le due tavole con la crocefissione di Pietro e la decollazione di Paolo.
Entrambe le scene seguono schemi iconografici collaudati. Pietro è crocefisso a testa in giù, tra una folla di dolenti in cui spicca una figura di donna che, abbracciandola, avvolge la croce, esprimendo in quel gesto tutto il suo umano dolore. Il realismo di quanto registrato dal pennello di Giotto è accresciuto dall’ambientazione romana in cui si possono riconoscere la piramide Cestia, ancora esistente, e la meta Romuli, un monumento funebre poi distrutto ma ancora visibile nel Trecento.
Un paesaggio collinare fa, invece, da sfondo alla decapitazione di Paolo, dove il boia funge da spartiacque in primo piano tra i lati in cui si assembrano gli astanti. Qui la nota di realismo è affidata alla figura di Plautilla che, sul pendio a sinistra, riceve, come consolazione, dall’anima del Santo ormai condotta in cielo, la benda che ha raccolto il suo sangue, che si gonfia di aria mentre plana verso le sue mani.
E’ moderna questa pittura di Giotto, che va cercando l’emotività dei personaggi che popolano le scene, un inquadramento prospettico delle ambientazioni, rese ancor più credibili da citazioni di monumenti romani. Non ci inganni, in questo senso, la regalità del fondo oro dovuto alla posizione importante che il trittico andava a occupare e alla solennità del tema trattato.
Sono Principi, Pietro e Paolo, e Gesù, al centro, è il loro, e nostro, Re. E regale è Santa Madre Chiesa, fondata sulla parola di Cristo e sul sangue dei martiri.