Pietà per i caduti: la prima via per la pace
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La ricerca della verità e della giustizia è un compito improbo, ma si può cominciare, se non dal perdono, almeno dalla pietà per quelle centinaia di nemici che, sui fronti contrapposti, muoiono ogni giorno. Potremmo diventare più umani se considerassimo le perdite del conflitto russo-ucraino.
Dopo più di due anni di guerra tra Russia e Ucraina l’Occidente è più che stanco: è proprio annoiato, tanto da dare più risalto a fake news come i cori dei tifosi romeni o alla bufala della Bugatti Tourbillon acquistata dalla moglie di Zelenski che alle notizie dal fronte dove sembra che non accada niente di speciale, a parte la morte e il ferimento di centinaia di soldati russi e ucraini ogni giorno. Al di là del tentativo irrituale e velleitario di Orban di varare una trattativa la pace appare molto lontana. Eppure, potrebbe essere questo il momento più opportuno per iniziare a pensare come guarire le ferite inflitte da una guerra inattesa quanto criminale.
Come? Partendo dalla pietà. La pietà per i caduti, per i feriti che devono convivere con le proprie carni straziate, per i parenti dei soldati che possono ritenersi fortunati se i propri cari tornano feriti e mutilati: meglio così che piangerli su una tomba, cercarli vanamente quando sono dispersi o, qualora siano ancora capaci di combattere, attendere ad ogni minuto una telefonata, un telegramma, o lo squillo del campanello della porta.
Eppure, russi e ucraini e le loro famiglie, testimoniano ancora l’esistenza di una umanità, per quanto sofferente, mentre in Occidente sembra che le idee dominanti siano fondamentalmente due: la prima è che le guerre sono sempre sbagliate; quindi, sbaglia anche chi combatte per difendersi; la seconda è che le guerre esistono da sempre e sono inevitabili, specie se chi le scatena lo fa per garantirsi quella che chiamano “una sfera d’influenza”.
Secondo questa corrente di pensiero sarebbe logico che le potenze, grandi, medie e piccole sbranino i vicini più deboli come nella favola di Esopo della pecora e del lupo. È pur vero che chi studia storia militare sa bene che per secoli è stato così; ma è anche vero che, negli ultimi ottant’anni, avevamo pensato e sperato che il diritto e la diplomazia potessero evitare o limitare almeno parte dei conflitti.
Forse potremmo diventare più umani se considerassimo a quanto ammontano le perdite di questo conflitto. Un’impresa assai difficile perché sia russi che ucraini aumentano le perdite avversarie e diminuiscono le proprie in spregio ad ogni credibilità: tanto, della propria credibilità, non sanno che farsene di fronte alla nostra manifesta indifferenza.
Vi sono, tuttavia, mezzi di informazione che possono riattivare menti e cuori attraverso la conoscenza.
Un esempio è la puntata di Parabellum dal titolo “diamo i numeri” nella quale sono stati mostrati i risultati di una ricerca condotta da un consorzio comprendente BBC, Mediazone e il sito russo Meduza che si sono mossi in modo empirico, calcolando gli annunci mortuari e osservando le foto satellitari che mostrano l’ampliarsi dei cimiteri. Si arriva così a una cifra di almeno 50.000 caduti russi all’aprile 2024. Cifra che non comprende i caduti delle forze armate di Donetsk e Luhansk e che deve essere aumentata almeno del 40%. Si arriva così a 70.000 morti con una proporzione di feriti per caduto di almeno tre a uno arrivando così alla cifra di 280.000 tra morti e feriti.
La BBC ha pubblicato nel dicembre scorso questo grafico dove si nota la proporzione delle perdite tra le diverse componenti.
Come si può vedere all’inizio della guerra le perdite riguardavano quasi esclusivamente i soldati regolari ma il peso dei combattimenti, soprattutto tra fine 2022 e primavera 2023 è stato sopportato dai carcerati arruolati (Convicts) e dalla Private Military Company (Wagner) con una proporzione sempre più alta di mobilitati. In tal modo il peso maggiore delle perdite russe viene scaricato su personale non addestrato mentre i reparti regolari, dopo le perdite subite all’inizio della guerra, possono venire ricostituite.
Da parte ucraina un sondaggio telefonico, effettuato in giugno 2023, segnalava che il 78% degli intervistati avevano amici o parenti che erano stati uccisi o feriti. Una cifra spaventosa, che non tiene conto delle perdite subite dagli ucraini nel corso della controffensiva fallita nell’estate del 2023. Non c’è da meravigliarsi se i giovani ucraini siano tutt’altro che entusiasti di andare al fronte mentre Putin rivendica il patriottismo di decine di migliaia di russi che si arruolano volontari. In una puntata sul proprio canale youtube Emiliano Brogi ha diffuso notizie sul reclutamento in Russia e sulle sue problematiche. Il punto è che, per i russi che si arruolano, il patriottismo passa un po’ in seconda linea rispetto alle offerte di denaro che continuano ad aumentare e gravano sempre di più sui bilanci regionali.
Secondo la Novaya Gazeta del 21 giugno scorso «le regioni stanno competendo tra loro offrendo pagamenti sempre più alti per la conclusione di un contratto col Ministero della Difesa». Dall’inizio del 2024 il fenomeno ha raggiunto proporzioni senza precedenti: alcune regioni, in sei mesi hanno aumentato i pagamenti di diverse volte. «E la media dei bonus – continua la Novaya Gazeta - è cresciuta di 80 volte. Le regioni si stanno indebitando per attrarre quanti più contractors e i russi vanno in guerra per pagare prestiti e uscire dalla povertà». Le suppliche al presidente Putin per chiedere il pagamento di indennità o regolare pendenze economiche derivanti dall’arruolamento sono aumentate. Sono aumentati anche i casi di soldati dispersi per i quali i parenti richiedono notizie (vedi minuto 50 del filmato) al ritmo di centinaia di richieste al giorno.
L’immobilità del fronte ucraino non significa un’assenza di combattimenti. Gli ucraini vengono letteralmente seppelliti da un’artiglieria russa che spara proiettili in una proporzione di sette a uno mentre è bene ricordare che, ogni volta che vediamo un carro russo esplodere, vi sono tre ragazzi al loro interno, seduti su una riservetta munizioni, e di cui non sarà più ritrovato alcun resto.
A fronte di tutto ciò l’Occidente non sa che dire, tranne rare eccezioni come il cardinale Pizzaballa che nella sua lectio magistralis ha indicato nel perdono, nella verità e nella giustizia il solo modo di raggiungere una vera pace:
«Parlare solo di perdono, disgiunto da verità e giustizia, in questo nostro preciso contesto, significa non tenere conto che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, significa ignorare la sua dignità di persona, con tutti i diritti legati a tale sua identità - ha detto -. Parlare di perdono, senza tenere conto del diritto della persona ad una vita giusta e dignitosa, è negare un diritto di Dio, e non costruisce la pace. Verità e giustizia, disgiunte dal perdono, hanno la stessa limitazione. Affermare il bisogno di verità e di giustizia è attività sacrosanta, ma se queste sono disgiunte da un desiderio di perdono, cioè di superamento del male commesso, mettono il proprio avversario con le spalle al muro, senza vie di uscita. Lo lasciano sul banco degli imputati, mettendolo di fronte alle proprie responsabilità, ma senza superarle, senza offrire prospettive di uscita. In definitiva diventa recriminazione e basta. Tutto ciò può anzi provocare una reazione ancora più aggressiva di opposizione».
La ricerca della verità e della giustizia, in un conflitto come quello ucraino, è un compito improbo, ma si può cominciare, se non dal perdono, almeno dalla pietà per quelle centinaia di nemici che, sui fronti contrapposti muoiono o restano mutilati ogni giorno. Può darsi che un giorno, come accaduto tra francesi e tedeschi dopo secoli di guerre, anche russi e ucraini possano vivere e camminare insieme senza che uno prevalga sull’altro, forti, paradossalmente di un’esperienza spaventosa alla quale noi occidentali siamo stati estranei: una nuova “solidarietà degli scossi” “degli scampati” come immaginava quel Jan Patocka che questa Europa laicista, impudente e disumana dovrebbe scegliere tra i padri fondatori di una nuova Europa. Quella che ognuno vuole dal più profondo del proprio cuore.