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MEDIASET

Pier Silvio, la rincorsa alla cultura nichilista

Come un oscuro maleficio che passa da una generazione all’altra sembra incombere su Pier Silvio in quanto grande imprenditore della comunicazione la stessa malasorte che grava su Silvio in quanto leader politico.

Politica 27_03_2013
Pier Silvio Berlusconi

Lo scorso 22 marzo La Stampa ha pubblicato un’ampia intervista nella quale il suo vicepresidente, Pier Silvio Berlusconi, illustrava “una sorta di rivoluzione” per Mediaset, il cui bilancio nel 2012 ha chiuso per la prima volta in passivo. “Il 2013 sarà l’anno zero della nuova Mediaset”, ha detto tra l’altro Berlusconi, spiegando che tale nuova Mediaset sarà il frutto di un ripensamento dei suoi contenuti cui il gruppo sta lavorando da alcuni anni. Dall’intervista si apprende pure che Mediaset intende offrire “sempre più prodotti italiani ed esclusivi”, il che è lodevole in un settore nel quale il nostro Paese, per la sua cultura e la sua creatività, avrebbe tutti i numeri per essere principalmente esportatore invece che principalmente importatore passivo come oggi è.

Sin qui tutto bene, ma è quando dal “che cosa” si passa al “come” che la situazione precipita. All’intervistatore che domanda, “La decisione di cambiare parte soltanto da ragioni economiche, di risparmio, o anche dal rinnegare un modello culturale? Per intenderci, il Grande Fratello resterà?” Piersilvio Berlusconi risponde: “Il nostro modello culturale è la modernità. E il Grande Fratello, rinnovato, resta eccome (…)”. In effetti la modernità, un’epoca evidentemente al tramonto, oggi è il passato, non il futuro; ma a parte questo che cosa c’entrano il Grande Fratello e il suo nichilismo d’accatto con quel che pur resta ancora di buono della modernità?

Come un oscuro maleficio che passa da una generazione all’altra sembra incombere su Pier Silvio in quanto grande imprenditore della comunicazione la stessa malasorte che grava su Silvio in quanto leader politico: quella mano invisibile che lo conduce a scegliere per lo più uomini e mezzi che contraddicono i suoi obiettivi, anzi li distruggono.
Nel clima ormai post-moderno in cui il mondo già si trova, le “giovani famiglie” cui punta Canale 5 sono una realtà molto più complessa e articolata di come Mediaset sembra immaginarsele.
Ci sono dentro, tanto per fare un esempio, anche l’iceberg di cui erano la proverbiale punta il milione di persone che lo scorso 3 giugno stava riunito sul campo volo di Bresso, alle porte di Milano, per assistere alla messa celebrata da Benedetto XVI a conclusione del VII Incontro mondiale delle Famiglie. E di esempi analoghi se ne potrebbero fare anche altri, e non necessariamente riferiti alla presenza cristiana.

Invece quella che si prospetta è una Mediaset ancora tutta alla rincorsa della cultura unica post-illuminista della Rai, de La7 e così via in versione radical-pop invece che radical-chic. Quindi qualcosa che a lungo termine è perdente anche quando fosse (ma lo sarà?) a breve termine vincente.
Torniamo concludendo al caso del Grande Fratello perché è a suo modo paradigmatico. Al di là di ogni personale intemperanza ciò che è centrale nel fondatore di Mediaset, Silvio Berlusconi, è l’etica del lavoro e della responsabilità. Ebbene che cosa c’è di più opposto a questa etica della gabbia di polli del Grande Fratello, plastica rappresentazione dell’antico adagio secondo cui “l’ozio è il padre dei vizi”?

Eppure veniamo a sapere che il Grande Fratello continuerà addirittura “rinnovato”. Mediaset insomma continuerà a distruggere proprio quell’etica del lavoro e della responsabilità su cui il nostro Paese rinacque dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, e su cui la stessa Mediaset si fonda. Auguri.