Perché sul Covid l'Italia sposa il punto di vista cinese
C’è un Paese in cui i mass media sono stati particolarmente pronti ad assolvere la Cina da ogni responsabilità sull'origine della pandemia. E al tempo stesso pronti a rilanciare tutto quel che proveniva dalla comunicazione ufficiale cinese. Questo Paese è l’Italia. Lo rivela anche il rapporto speciale Ifj sulla disinformazione cinese.
C’è un Paese in cui i mass media sono stati particolarmente impermeabili a dubbi e legittime ipotesi sull’origine cinese della pandemia di coronavirus. E’ lo stesso Paese in cui i mass media sono stati, al contrario, particolarmente ricettivi di tutto quel che proveniva dalla comunicazione ufficiale cinese. Questo Paese è l’Italia. Lo rivela un rapporto speciale dell’International Federation of Journalists (Ifj) dedicato alla disinformazione cinese nel mondo, sul caso del Covid-19. L’Italia è esaminata come un caso-studio di “peggior scenario” di penetrazione della propaganda di Pechino.
Ultimo esempio in ordine di tempo: già a novembre, tre ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan si sono ammalati gravemente, tanto da essere ricoverati in ospedale, con sintomi compatibili con quelli del Covid-19. La notizia giunta da fonti di intelligence statunitensi, riportate dal Wall Street Journal e poi, a cascata, da tutti i maggiori quotidiani internazionali, è la dimostrazione che la “tesi del laboratorio” non sia solo e semplicemente una teoria cospirativa. Eppure tutti i maggiori media italiani, nei mesi della prima ondata di coronavirus erano intenti a liquidare questa tesi come una mera leggenda nera anti-cinese.
Non eravamo gli unici, sicuramente, considerando che anche negli Usa lo stesso “virologo in capo” Anthony Fauci si sentiva di escludere del tutto questa ipotesi (oggi non la pensa così). Però è stato rivelatore il particolare accanimento con cui i media italiani più diffusi si sono lanciati contro chiunque ipotizzasse la fuga dal laboratorio (che non vuol dire la creazione del virus in laboratorio, ma semplicemente la sua fuga), mentre venivano fatte circolare, con estrema leggerezza e spesso senza neppure un commento critico, plateali fake news cinesi. Come quella secondo cui il virus sarebbe nato nel nostro Paese. Si trattava di una notizia costruita a tavolino, per motivi politici, subito dopo che una sua prima versione, quella del virus nato negli Usa e importato a Wuhan da atleti dei Giochi Militari dell’ottobre 2019, non aveva avuto particolare successo.
Nel rapporto di Ifj sono citati gli ormai celebri video (falsi) circolati su tutti i social network in cui gli italiani, dai balconi, all’inizio del primo lockdown, inneggiavano agli aiuti venuti dalla Cina. I giornalisti italiani intervistati da Ifj (mantenendo l’anonimato) hanno dichiarato di aver subito un “corteggiamento intenso” da parte di funzionari cinesi nel corso della prima ondata del Covid. E non solo funzionari, ma anche media di Stato cinesi che offrivano alle televisioni italiane servizi già confezionati e in italiano, come il discorso di Capodanno del presidente Xi Jinping, già tradotto. Giornalisti hanno riferito di aver ricevuto comunicazioni informali dall’ambasciata cinese in Italia. Hanno descritto questo tipo di rapporto come molto “ambiguo”, sentendosi sollecitati, ma non esplicitamente, a confezionare le notizie in un certo modo.
Lo sforzo di Pechino è stato premiato. Secondo un sondaggio del Pew Research Center dell’ottobre 2020, l’Italia era l’unico Paese in area Ocse in cui il punto di vista dell’opinione pubblica sulla Cina, non solo non era crollato a picco (come in tutti gli altri Paesi esaminati), ma era addirittura migliorato. Ciò vuol dire che solo nel nostro Paese, per merito di questo subdolo lavaggio delle notizie, la Cina è stata assolta dalle sue responsabilità sull’origine del coronavirus e semmai vista come una nazione salvatrice. Il suo modo di combattere il virus con il lockdown è stato prontamente imitato ed esteso in Italia.
Il grosso del problema italiano risiede sempre negli accordi sulla Nuova Via della Seta, firmati dal primo governo Conte nel marzo 2019, quando non sapevamo ancora di essere alla vigilia della diffusione di un virus partito dalla Cina. In questi accordi, uno riguarda il China Media Group e i maggiori media italiani, fra cui Rai, Mediaset e la stessa Ansa. L’agenzia stampa nazionale, in particolare, ha siglato un accordo con la sua omologa cinese Xinhua, per tradurre cinquanta lanci al giorno. Di questi lanci, Xinhua si prende interamente la responsabilità editoriale, mentre l’Ansa funge da mero distributore. E l’Ansa è alla base del giornalismo italiano.