Perché non ci sono piu i (bravi) "ragazzi" di una volta
Ancora non si conosce il movente del duplice omicidio di Pordenone, ma non è di questo che vogliamo parlare oggi. Quel che colpisce è il quasi unanime incipit degli articoli che riguardano il caso. Praticamente non c’è giornalista che non si sia riferito ai due uccisi parlando di loro come “ragazzi”. E pure “bravi ragazzi”.
Ancora non si conosce il movente del duplice omicidio di Pordenone, ma non è di questo che vogliamo parlare oggi. Quel che colpisce è il quasi unanime incipit degli articoli che riguardano il caso. Praticamente non c’è giornalista che non si sia riferito ai due uccisi parlando di loro come “ragazzi”. E pure «bravi ragazzi», intendendo che la coppia conduceva una vita normale e priva di rilievo penale. Tutto vero e, finora, confermato. Ma è quel “ragazzi” che colpisce e fa riflettere.
Lui, pugliese, aveva 29 anni; lei, siciliana, 30. Due “ragazzi” meridionali andati a Nord a cercare fortuna e realizzazione. Lui, stipendio garantito dall’esercito (caporale o sergente), arrotondava come “bello” professionista nelle serate di addio al nubilato e alle Feste della Donna. Aveva anche vinto certi concorsi di bellezza. Qualcuno insinua che non disdegnasse il ruolo, quando capitava, di gigolò, ma sono solo voci. Un altro arrotondamento gli veniva dal fare, sembra, l’addetto alla sicurezza in una discoteca. Tutti i giorni, tutti, si faceva i muscoli sollevando pesi in palestra. Ci si potrebbe chiedere: ma quando trovava il tempo di fare il sottufficiale? Oppure: la legge consente agli impiegati pubblici di svolgere altri lavori? Ma qui si entra nel moralismo e, tutto sommato, non ci interessa.
Anche la sua convivente aveva un secondo lavoro (il primo era in una società assicuratrice) come ragazza-immagine: col nome d’arte di Greta faceva la cubista danzando attorno al classico palo metallico nei locali notturni. Magari avevano lasciato il Sud con la speranza di far carriera nel mondo dello spettacolo, ma in un posto come Pordenone le probabilità che qualcuno ti noti e ti lanci nell’empireo delle star è remota. E il tempo non fa sconti a nessuno. Nel firmamento stellato dello showbiz 30 anni sono troppi, ci si deve provare molto prima. Due trentenni saranno “ragazzi” per la stampa e per mammà, ma i talent-scout guardano molto più in basso nella scala evolutiva. Certo, con una vita media che si allunga a dismisura è quasi istintivo vedere “ragazzi” anche nei quarantenni, tuttavia non è questo il punto. A trent’anni Alessandro Magno aveva già conquistato un impero che non è più uscito dalla leggenda. Napoleone ne aveva ventisette quando si impadronì dell’intera Italia. E ventisette anni era l’età media dei comandanti degli U-Boote tedeschi nell’ultima guerra.
Aveva diciotto anni Henry de Larochejacquelin quando cadde guidando in battaglia come generalissimo le armate vandeane contro l’esercito giacobino. É sua la frase (copiata da Mussolini) «Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi». Aveva sedici anni Baldovino, re crociato di Gerusalemme, quando sconfisse sul campo nientedimeno che il Saladino. L’età di Giovanna d’Arco era ancora inferiore. Altri tempi? No: altri ideali. Ai giovani era additato a esempio il cavaliere senza macchia e senza paura, e si forniva loro uno scopo per cui dare la vita. Uno scopo consono, naturalmente. Uno scopo quale oggi, spiace dirlo, solo l’Isis sembra indicare. Certo, è un ideale, questo, che a noi fa orrore. Ma i nostri “ragazzi” per quali ideali dovrebbero essere disposti a morire? Ballare sul cubo o fare il bell’oggetto? La femminilizzazione forzata della civiltà occidentale ha prodotto un’inversione totale e ormai le virtù virili e marziali risultano apprezzate solo dai delinquenti. Paradossale, sì, ma conseguente.
Nelle nostre società pacifiche i “cavalieri” sono i poliziotti (lo aveva già notato Chesterton), ma il femminismo obbligatorio di cui si è detto non li sopporta. Qualche tempo fa, intervistato perché uno dei suoi uomini aveva sparato a un criminale, un colonnello dei carabinieri, infastidito dal garantismo peloso e ipocrita, sbottò: «Al mio comando voglio dei Rambo, non dei sociologi!». Sacrosantissima verità, ma politicamente scorrettissima. Luca Doninelli ha riferito che in una scuola italiana, qualche giorno fa, un tema in classe verteva sulla domanda: «Che faresti se arrivasse il Califfato?». Tutti gli studenti, tranne due, risposero che non avrebbero esitato un secondo a convertirsi all’islam. Le due eccezioni, non a caso, provenivano da famiglie impegnate nei movimenti cattolici.
Ma i Rambo sono scomparsi? No, però non resta loro che sfogare le energie nei cosiddetti sport estremi. Tuttavia, ci si permetta: sciare fuori pista o pagaiare nel rafting non ci paiono “ideali” per cui valga la pena di rischiare la vita. Morire nel divertirsi, mah. Certo, la follia dei jihadisti è tale che solo a loro può venire in mente di dare del “crociato” a un pensionato torinese vantandosi di averlo eroicamente trucidato mentre faceva il turista. Da noi “il Califfo” era un cantante, e di crociati non ce ne sono. Tutt’al più, tronisti.