Perché a tutti piace Gustav Klimt
Gustav Klimt, in mostra a Milano, è un mito per i giovani di oggi. Il suo stile rappresenta quella "dolcezza del vivere" del mondo di ieri, morto con la Prima Guerra Mondiale. Un mondo non più cristiano, ma non ancora disumano.
Avviso agli adolescenti: «Il bacio», quello famoso, non c'è. Però alla mostra che si è aperta a Palazzo Reale a Milano, dove resterà fino al 13 luglio, «Klimt, le origini del mito» anche i ragazzi che hanno preso più sul serio la Klimt-mania scopriranno senza dubbio qualche cosa di nuovo sul loro artista preferito. La mostra, infatti, non è piccola: oltre cento opere, più disegni, taccuini, perfino banconote disegnate dall'artista viennese. E un percorso didattico - talora perfino troppo - per scoprire la vita, le influenze, la carriera di Gustav Klimt (1862-1918).
Come sociologo, molto interessato al l'influenza dell'arte su come si formano le tendenze e le mentalità, la domanda che mi sembra più rilevante è perché tantissimi giovani d'oggi siano innamorati di Klimt che, dopo tutto, è un prodotto di un mondo lontanissimo dal nostro? Contestatore ma non troppo del suo contesto sociale - amava dare scandalo, ma lavorava facendosi pagare piuttosto bene per i ricchi e i potenti - Klimt è una voce della «finis Austriae», il mondo che accompagna l'Impero austro-ungarico, proprio mentre sembrava al massimo del suo splendore, verso la crisi e la fine. L'artista muore più o meno con l'Impero, nel 1918.
Come molti artisti del suo tempo, conduce una vita sregolata. Genera quattordici figli illegittimi con molte donne diverse, di tutte le condizioni sociali, ma da questa vita preserva il grande amore della sua vita, la creatrice di mode Emilie Flöge (1874-1952), con cui intrattiene una lunga relazione di cui neppure i biografi più attenti o pettegoli sono riusciti a sapere se sia mai stata consumata. Vita sregolata a parte, è merito della mostra milanese quello di smentire una serie di miti. Klimt contestava gli aspetti inutilmente boriosi di una certa arte accademica viennese, ma dalla grande pittura storica e celebrativa asburgica di maestri come Hans Makart (1840-1884) ha imparato moltissimo, e la loro influenza non è mai venuta meno.
Per inquadrare Klimt giova sempre dare un'occhiata alle date. È un simbolista e un maestro dell'Art Nouveau, ma continua a dipingere in questo stile quando altrove è già iniziato l'astrattismo. Molti giovani ammiratori di Klimt pensano istintivamente che venga «prima» di un Vassily Kandinsky (1866-1944), ma non è così. Kandinsky ha il suo grande periodo tedesco tra il 1908 e il 1914, non lontano da Klimt che però continua a dipingere in un stile molto più «antico», così come quasi ignora le avanguardie francesi. I suoi riferimenti continuano a essere simbolisti «puri» influenzati dall'esoterismo ottocentesco, come il belga Fernand Khnopff (1858-1921).
Klimt vive in un mondo suo, il mondo Fin-de-siècle, che sta finendo e forse è finito - ma non se ne accorge. Non è più il mondo religioso delle chiese neo-barocche asburgiche. Tuttavia è un mondo che parte dalla vecchia arte religiosa, secolarizzandola ma in qualche modo ancora onorandola, per celebrare valori umani: l'onore, il coraggio, l'amore di un uomo e di una donna. I famosi sfondi dorati del «periodo d'oro» di Klimt, che appunto tanto piacciono ai giovani, sono dichiaratamente ispirati ai mosaici di Ravenna, anche se lo spirito è diverso: non si celebra più la religione, ma la gioia di vivere della Belle Époque, la quale comprende certamente anche la dimensione sensuale dell'amore. Il bacio, appunto.
Perché allora tanti giovani sono innamorati di Klimt? Perché con un linguaggio per loro accettabile - uno esplicitamente religioso lo sarebbe forse meno - trasmette loro quella «dolcezza del vivere» che era tipica di un mondo che non aveva ancora conosciuto le due guerre mondiali e gli orrori delle ideologie del ventesimo secolo scatenate. Un mondo imperfetto, non più cristiano: ma non ancora disumano. La passione per Klimt è la nostalgia di un mondo un po' più a misura d'uomo di quello di oggi. Da questa - che è certo anche una moda - si potrebbe forse partire per ragionare con i giovani che affollano la mostra milanese di decadenza dell'Europa e della bellezza di mondi che conservavano almeno un ricordo, o una nostalgia, della grande civiltà europea del passato.