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EDITORIALE

Per chi vuole una Chiesa funzionale al nichilismo

Temi come la comunione ai divorziati e risposati interessano soprattutto i laici e i cattolici tiepidi che non vanno neppure più a messa. Perché? In assenza di una domanda religiosa, accettato il nichilismo come cultura dominante, i laicisti vorrebbero avere a che fare solo con una Chiesa "bonacciona".

Editoriali 26_09_2014
Comunione

Perché il caso dell’esclusione dall’eucarestia dei divorziati risposati civilmente suscita tanta passione in ambienti remoti dalla Chiesa, in persone che non ne fanno parte o che comunque non la praticano più? Insomma tra gente che non va a messa e tanto meno usa comunicarsi? E così pure come mai il presunto diritto al sacerdozio femminile suscita all’interno della Chiesa un’attenzione o anche solo una curiosità di gran lunga inferiore a quella che si riscontra tra tanta gente che magari in vita sua non ha nemmeno mai parlato con un prete? Quando una contraddizione è così patente merita un’attenta analisi. Dietro la sua apparente assurdità si cela infatti di sicuro qualcosa che va  molto al di là della questione immediatamente posta sul tappeto.

Riflettendo su questo caso siamo arrivati ad alcune ipotesi, che sottoponiamo qui alla comune riflessione. All’apparenza trionfante ma in effetti intimamente corrosa dal suo nichilismo, la cultura dominante o comunque “ufficiale” dell’Occidente del nostro tempo da un lato censura la domanda che proviene dal senso religioso dell’uomo, ma dall’altro si rende conto che ciò la rende molto vulnerabile. Questo spiega tra l’altro – notiamo qui per inciso – la sproporzionata paura che in queste settimane il grande circo dei mass media manifesta e diffonde riguardo a gruppi a cavallo fra il terrorismo e il semplice banditismo come l’IS che, rispetto all’odierna forza militare e superiorità tecnica ed economica dell’Occidente, sono come leoni scappati dal circo, pericolosi per gli inermi su cui s’imbattono ma senza futuro e destinati a sicura sconfitta. A patto beninteso che si decida davvero di affrontarli con forze e strumenti adeguati.

Torniamo però al nostro tema. Tanto materialmente forte quanto psicologicamente e culturalmente fragile, l’ordine costituito della modernità occidentale cerca di procurarsi fuori da sé ciò che non può trovare dentro di sé, ossia delle buoni ragioni sia per vivere che per morire: dunque una qualche forma di religiosità. In questa sua ricerca la prima cosa in cui s’imbatte è l’esperienza cristiana; e in particolare in Occidente l’esperienza cattolica, che conserva una consistenza altrove svanita o quasi svanita. Per renderla funzionale a sé ha però bisogno di trasformarla in una specie di religione civile, in una specie di sua “religione di Stato”. Qualcosa che in effetti non servirebbe a nulla, nemmeno a chi la vorrebbe così.

I lavori sono in corso: vorrebbero una Chiesa bonacciona cui vada bene tutto, disponibile a dare un supplemento di anima a quel nichilismo dolce che è la cultura “ufficiale” del momento. Papa Francesco -- non come è, ma come se lo immaginano -- li induce a grandi speranze che per fortuna non solo nostra ma anche loro andranno deluse. Dico non solo nostra ma anche loro innanzitutto per fondamentali motivi che valgono e varrebbero in ogni epoca. E inoltre perché la grande urgenza storica del nostro tempo è quella di provocare dentro l’islam un ribaltamento dei rapporti di forza tra l’area -- maggioritaria ma oggi ammutolita -- dei musulmani che vogliono mettere la loro fede alla prova della realtà, e l’area -- minoritaria ma oggi alla ribalta --  di coloro che invece tentano di sottrarsi a tale prova anche a costo del delirio. Tale ribaltamento non può che partire dall’interno del mondo islamico, ma diventerà inevitabile soltanto nella misura in cui le fughe deliranti dalla realtà verso il jihadismo andranno incontro a clamorose sconfitte, anzi alla disfatta. E questo dipende in primo luogo dall’Occidente e dai suoi alleati.