Peña Parra chiamato a testimoniare dai giudici inglesi
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Nel processo intentato da Raffaele Mincione (parallelo a quello vaticano) il sostituto della Segreteria di Stato dovrà comparire come testimone. La vicenda del palazzo di Londra non è conclusa.
La vicenda del palazzo di Londra non smette di creare imbarazzi in Vaticano. Giovedì, infatti, il sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Edgar Peña Parra, dovrà comparire come testimone davanti all'Alta corte di giustizia britannica, sebbene non sia da escludere uno slittamento alla prossima settimana.
Il procedimento si è sviluppato parallelamente a quello vaticano per iniziativa di Raffaele Mincione, finanziere condannato in primo grado lo scorso dicembre dal tribunale di Città del Vaticano. L'uomo d'affari, a cui fa capo la Athena Capital Commodities precedentemente titolare del famoso investimento immobiliare a Sloane Avenue, aveva intentato una causa davanti alla giustizia inglese già nel giugno del 2020, circa un anno prima della richiesta di citazione in giudizio da parte del Promotore di giustizia vaticano. Nel luglio di due anni fa, la corte d'appello britannica aveva accolto il ricorso di Mincione che contestava la sospensione del procedimento d'Oltremanica.
Dunque, il processo che vede contrapposte le società del finanziere di origini italiane e la Segreteria di Stato può vedere la luce a 1800 km di distanza dall'Aula polifunzionale dei Musei Vaticani in cui Mincione è stato condannato per peculato, autoriciclaggio e concorso in corruzione tra privati. Nella sentenza della corte d'appello che ha dato ragione al finanziere, i giudici Jackson, Males e Birss hanno "smontato" un precedente pronunciamento che sospendeva il procedimento inglese, sostenendo apertamente che «la Segreteria (di Stato, ndr) non è neutrale» e che dunque «gli appellanti (le società riconducibili a Mincione, ndr) hanno una valida ragione per desiderare che il procedimento qui continui, vale a dire rivendicare la loro posizione (se possono) nel foro scelto dalle parti al fine di mitigare le pressioni legali e reputazionali derivanti dalle accuse che sono state mosse».
Una sconfitta per la Santa Sede che si materializza ora con la partenza di un procedimento parallelo sei mesi dopo la sentenza di primo grado in Vaticano. Il portavoce, contattato da La Nuova Bussola, ha spiegato che Mincione ha presentato «ricorso per un giudizio dichiarativo in Inghilterra» vedendo riconosciuta «la giurisdizione per farlo, affinché i tribunali inglesi esaminassero la transazione di vendita dell'edificio al n.60 di Sloane Avenue e le questioni correlate (poiché questi fatti si sono verificati in Inghilterra e sono regolati dalla legge inglese). Il ricorso richiede una pronuncia ai sensi della legge inglese per dichiarazioni, tra cui che la transazione dell'edificio di Sloane Avenue è stata autorizzata e intrapresa correttamente, e che i relativi contratti sono validi, vincolanti ed esecutivi».
La vicenda del palazzo londinese, però, rischia di trascinare la Santa Sede in tribunale non solo nel Regno Unito: Mincione, infatti, ha deciso di rivolgersi anche all'Onu, convinto di essere stato vittima di un'ingiustizia in Vaticano. Nel mirino sono finiti i quattro Rescripta del Papa che tra il 2019 ed il 2020 hanno inciso pesantemente nel procedimento giudiziario in corso nel piccolo Stato. Il professore ordinario di diritto canonico alla Lumsa Paolo Cavana ha di recente scritto in un articolo scientifico pubblicato su Stato, Chiese e pluralismo confessionale, che «l'emanazione nel corso del processo di simili provvedimenti da parte dell’organo sovrano, oltre a esporre inutilmente quest’ultimo – e l’ufficio che ricopre – a prevedibili critiche, ha potenzialmente arrecato un grave vulnus all’indipendenza e alla stessa imparzialità dei giudici». Una linea evidentemente condivisa dal team di legale di Mincione il cui portavoce, interpellato sul punto da La Nuova Bussola, ci ha fatto sapere che «i Rescripta sono rilevanti per la denuncia del signor Mincione alle Nazioni Unite. La denuncia, redatta da Rodney Dixon KC, afferma che: "Questa autorizzazione non motivata concessa ai procuratori da un monarca assoluto ha dato il via libera all'inizio di una sorveglianza senza l'articolazione di motivi definiti, senza una supervisione giudiziaria o altra supervisione indipendente e imparziale in corso, né un meccanismo per contestare l'attuazione della sorveglianza davanti a un tribunale indipendente e imparziale"».
Una contestazione che un articolo uscito nell'ultimo numero della rivista scientifica Diritto & Religioni, diretto dalla docente ordinaria di diritto ecclesiastico, diritto canonico e diritti confessionali all'Università “Federico II” di Napoli Maria d'Arienzo, ha provato a confutare. L'autore? Alessandro Diddi. Non è un caso di omonimia: si tratta proprio del Promotore di giustizia vaticano. Nell'articolo, lo studioso Diddi ha difeso la regolarità del processo di cui è stato protagonista il Promotore Diddi riportando correttamente le contestazioni mosse dai critici, ma sostenendo che «i rescripta del Santo Padre (...) hanno per così dire “colmato” alcuni vuoti normativi e regolato alcuni spazi di incertezza che l’applicazione del codice di procedura penale aveva lasciato aperti». Diddi ha anche scritto che «il meccanismo di selezione dei magistrati e la loro inamovibilità, poi, garantisce l’imparzialità e la terzietà dei giudici in maniera corrispondente a quanto avviene negli altri Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Un altro tema caldo alla luce della vicenda del palazzo di Londra.
Per il portavoce di Mincione infatti, interrogato da La Nuova Bussola sul punto, non c'è dubbio che la mancata firma della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo possa mettere in discussione la legittimità di sentenze pronunciate in base all'ordinamento vaticano. Il pasticciaccio vaticano partito dall'affare di Sloane avenue, dunque, è ben lontano dall'essere concluso. Anche perché, oltre a Regno Unito e Onu, c'è in ballo ancora il ricorso contro la sentenza vaticana di dicembre scorso. Più di sei mesi dopo, però, non sono ancora arrivate le motivazioni della sentenza.
Un ritardo che non agevola la partenza del processo d'appello: domenica scorsa, intervistato sul CorSera da Massimo Franco, il cardinale Angelo Becciu – che come Mincione è stato condannato lo scorso dicembre – ha ribadito la volontà di ribadire la sua innocenza davanti alla corte d'appello, dichiarando che il processo «sarebbe bene che arrivasse prima» del 2025 «altrimenti temo che sarebbe un danno enorme per la Chiesa e per lo stesso Giubileo».
Intanto, anche se siamo ancora nel 2024, l'immagine di un sostituto chiamato in un tribunale inglese come testimone in un processo che coinvolge la Segreteria di Stato non fa certamente buona pubblicità alla Santa Sede e al Papa. La partita del palazzo di Londra, contrariamente a quanto probabilmente si sperava, non si è chiusa con la vendita da parte dell'Apsa nell'estate del 2022 a Bain Capital tramite il broker immobiliare Savills e una perdita, secondo il Financial Times, di 100 milioni di sterline nonostante l'investimento sia stato fatto in un mercato immobiliare, come quello di Londra, da anni in forte espansione.
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